22 maggio 2018, Milano.
La Cina, come aveva già annunciato, ha deciso di tagliare i dazi sull’import delle auto. Il paradosso di un Paese comunista che adotta politiche liberali.
Esattamente si tratterebbe di abbassare i dazi all’import di veicoli dal 25% al 15% a partire dal primo luglio. Lo riferisce in una nota il Consiglio di Stato, il governo di Pechino. Ad aprile, il presidente Xi Jinping aveva anticipato che ci sarebbero stati dazi sul settore “significativamente più bassi”, in una mossa del quadro più ampio di apertura ulteriore del mercato.
Una politica decisamente liberale, il paradosso è che il promotore sia un Paese guidato da una dittatura comunista. Infatti la Cina è una Repubblica popolare in cui il potere è esercitato dal solo Partito Comunista Cinese. Tuttavia non adotta le “tradizionali” politiche comuniste, ammesso che ce ne fossero mai state. Anzi, utilizza la repressione politica e giudiziaria tipica di una dittatura comunista per agevolare l’economia capitalista.
James Mann, autore di “The China Fantasy: perché il capitalismo non porterà la democrazia in Cina”, ed ex capo dell’ufficio di Pechino del Los Angeles Times scrive: “I governi democratici di tutto il mondo hanno bisogno di collaborare più spesso per condannare la repressione della Cina, non solo in riunioni private, ma anche in pubblico… perché c’è una strada a senso unico in cui i leader cinesi inviano i propri figli nelle migliori scuole degli Stati Uniti, mentre bloccano gli avvocati a casa loro? Il regime cinese non si aprirà a causa del commercio che intratteniamo con esso”.
Questo per dire che le relazioni commerciali che hanno i paesi occidentali (e non solo) nei confronti della Cina non consentiranno mai di indebolire la struttura dittatoriale cinese. In tutti i Paesi ampiamente sviluppati si sta verificando una migrazione aziendale verso i paesi del sud-est asiatico e a Pechino. Il motivo è molto semplice. La dittatura comunista (che dovrebbe in teoria difendere gli operai) opprime i lavoratori, togliendo a loro diritti umani e sociali, così da rendere competitivo alle aziende che arrivano dall’estero investire in Cina, grazie ad un costo di gran lunga minore della manodopera.
Questo paradossale mix tra politica ed economia diametralmente opposti ha reso Pechino una potenza mondiale. Non a caso il Financial Times conferma: “Kim ha visitato Pechino”. Il leader nordcoreano si prepara così al vertice di maggio con Donald Trump. Due fonti, citate dal quotidiano, danno per sicuro la presenza del Presidente nella capitale della Cina che ha giocato un ruolo fondamentale nella riappacificazione con Kim Jong-Un. Quando Pechino non ha più svolto quel ruolo di “sponda” con la Nord Corea, Kim si è trovato isolato, circondato dalle sanzioni economiche e dalle minacce degli Stati Uniti.
Insomma, capitalismo e comunismo in Cina vanno a braccetto. E sembrerebbe che la ricetta funzioni, a discapito dei lavoratori che dovrebbero tutelare.
Simone Tavola.
Redazione Milano.