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venerdì, 22 Novembre, 2024

Caro ministro, così non va

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Il ministro Giuliano Poletti ha dichiarato in questi giorni che si trova più facilmente lavoro giocando a calcetto che mandando curricula. Una frase molto contestata da parecchi e decisamente fraintesa. Il ministro, infatti, non ha invitato i giovani a non mandare curricula, ma ha solo fatto il punto di una situazione. Certo, l’ha fatto in modo sgraziato, infelice, dimostrando una totale mancanza di quel tatto e di quella prudenza nell’uso delle parole che dovrebbe essere caratteristica del politico e che, oggi, sembra ormai cosa rara.
Quel che però è grave è che il ministro non cerchi delle soluzioni a una situazione squallida, ma faccia discorsi alla “è così, adattatevi”. Il fatto che sia più facile trovare lavoro giocando a calcetto che mandando curricula alle aziende dimostra che il nostro paese ragiona ancora in modo clientelare e sceglie i propri dirigenti in base alle amicizie e alle raccomandazioni, invece che in base alle competenze. Perché è ai futuri dirigenti che Poletti (forse inconsapevolmente) si rivolgeva. Sono i giovani membri delle classi agiate che hanno occasione di trovare agganci giocando a calcetto con i propri pari, scambiandosi contatti e raccomandazioni, non certo i figli degli operai. Il che ci pone due spunti di riflessione, entrambi gravi.
Il primo riguarda, come si diceva, il sistema delle raccomandazioni. Un paese in cui il merito non sia riconosciuto non può andare lontano. Con questo sistema si mantiene il controllo delle aziende e del potere economico in mano a una “casta”, per dirla alla grillina, chiusa e autoreferenziale che non necessariamente saprà portare avanti le attività nel modo adeguato. Se il lavoro lo si trova giocando a calcetto, dalle posizioni dirigenziali saranno esclusi tanti giovani capaci e preparati che hanno la “colpa” di non avere i giusti amici di calcetto, ovvero di non essere nati nella famiglia giusta. Il problema delle raccomandazioni è una piaga importante, che contribuisce non poco a mantenere il nostro paese in uno stato di stallo. Sono tanti gli ambiti, dalla politica al giornalismo all’università, dove si avvicendano persone provenienti sempre dagli stessi ambienti, se non dalle stesse famiglie. A esserne danneggiata è l’economia, che andrebbe meglio se i dirigenti fossero assunti in base alla loro capacità, piuttosto che in base al loro nome o a quanto sono bravi a dar calci a un pallone.
Ma soprattutto è il popolo italiano a perderci. Ogni giorno sentiamo storie di ragazzi emigrati e realizzatisi all’estero perché in Italia i posti erano occupati dai raccomandati. Gran parte di coloro che emigrano è fatta di laureati e di persone con competenze elevate: ricercatori, economisti, medici… Persone che avrebbero potuto dare tanto all’Italia e che, invece, arricchiscono e fanno progredire altri paesi perché noi non abbiamo saputo dar loro delle opportunità.
Il secondo spunto di riflessione riguarda la totale miopia della politica italiana. Ormai la politica (da destra a sinistra) pare non essere più in grado di esprimere un progetto, una visione di paese che vada oltre l’immediato. L’unica cosa importante è mantenersi a galla, curare l’immagine per scopi elettorali e mettere pezze qua e là per tirare a campare. In tutto questo il paese scivola sempre più verso il baratro, in una totale inedia.
Proprio sul lavoro i governi che si sono succeduti in questi anni non hanno saputo dare risposte adeguate. Di governo in governo la situazione è peggiorata, i diritti dei lavoratori, e di pari passo la loro sicurezza economica, sono stati erosi. Mi chiedo come pensano che un’economia possa stare in piedi, o addirittura crescere, se si erode il potere d’acquisto del popolo. Chi pensano che comprerà i prodotti? Una domanda talmente ovvia che i nostri grandi “economisti” non se la sono nemmeno posta.
Le dichiarazioni di Poletti (e della Fornero prima di lui) dimostrano che la politica si è distaccata dalla realtà del paese e non ha idea di cosa sia veramente il lavoro. Certo, se il modello di “giovane in cerca di lavoro” è il figlio di papà bocconiano, allora ha senso dirgli di giocare a calcetto con i suoi compagni di università (magari figli di grandi manager o imprenditori) o di non essere “choosy”. Certo, non essere schizzinosi tra una posizione in banca e un’altra può aprire molte porte, ma se un laureato accetta di lavorare, per necessità, da Mac Donald, si brucerà tutte le occasioni di fare carriera, sia perché uscirà dal “giro” e le aziende preferiranno quindi i nuovi laureati, più freschi, sia perché uno che ha fatto lavori umili per vivere non fa “chic” in certi ambienti. Ora, se chi dovrebbe gestire lo stato e servire il popolo italiano (tutto il popolo) conosce solo la ristretta realtà della classe abbiente e non ha idea delle problematiche reali del lavoro, non possiamo certo sperare che faccia grandi cose e che ci risollevi da questa stagnazione.
A questa politica non sembra, tra l’altro, esserci un’alternativa decente. Gli unici a protestare (debolmente) su questo fronte sono le estreme destre e il Movimento 5 Stelle. E sinceramente credo che se al potere andasse gente che crede a qualunque bufala giri in rete come i grillini, sarebbe peggio ancora.
Forse sarebbe utile una seria e profonda riflessione sulla struttura delle nostre istituzioni, che non sembrano più adatte a dare risposte al paese. Perché continuare con questo triste spettacolo di politici annaspanti che tirano a campare è sempre meno possibile, e, sicuramente, non auspicabile.

Enrico Proserpio

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