Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità.
Vangelo secondo Matteo, capitolo 23, versetti 27 – 28
Credo non ci sia miglior commento di questo passo evangelico alle dichiarazioni dei vari omofobi che a poche ore dalla strage di Orlando esprimono una (falsa) solidarietà alle vittime.
Tra questi troviamo l’immancabile Adinolfi. Dopo aver insultato le persone glbt in ogni minima occasione, invitando le persone a “prendere il fucile” contro la legge Cirinnà, il Mario ha il coraggio di esprimere solidarietà alla comunità glbt per i fatti delle ultime ore. Peccato per lui che internet sia un non-luogo e un non-tempo dove ogni cosa postata diviene immortale e sempre presente. E così le sue dichiarazioni di odio e di incitazione alla violenza sono subito ricomparse a smentire i “buoni sentimenti” del loro autore.
Ancor più forte è il disprezzo per quanto dichiarato dal finto bonaccione d’oltre Tevere: Francesco I. Il papa si è detto addolorato per la strage. Peccato che i fatti di tutti i giorni rendano poco credibile il suo “dolore”, svelandone la natura unicamente mediatica. È di pochi giorni fa la notizia di un prete sardo, Massimiliano Pusceddu, che nelle sue omelie sostiene la necessità di uccidere gli omosessuali. Dov’era il “dolore” del papa allora? Perché contro questo sacerdote e contro tutti quelli (numerosi) che sostengono la stessa cosa non si sono presi provvedimenti? E non si parli, per favore, di “libertà d’opinione”. Se un sacerdote, infatti, si azzarda a esprimersi a favore dei diritti delle persone glbt, la chiesa si dimostra veloce e decisa nel reprimerlo, giungendo alla riduzione allo stato laicale di chi non abbassi subito la testa. Il che la dice lunga sulle idee che la chiesa di Roma, al di là delle dichiarazioni ufficiali sull’ “accogliere con dolcezza” gli omosessuali, la pensi veramente. Perché se in Italia la gerarchia mantiene almeno una parvenza di non-violenza (solo teorica) nei confronti delle persone glbt, in altri paesi essa è ben più esplicita. In Uganda il vescovo Charles Wamika predica da anni la “necessità” di uccidere gli omosessuali, invitando perfino i fedeli a consegnare alle autorità (in Uganda l’omosessualità è illegale) i loro stessi figli gay! L’Uganda è uno dei paesi più omofobi del mondo. L’omosessualità è condannata duramente e le rappresaglie contro le persone glbt sono all’ordine del giorno. Basti ricordare il caso dell’attivista David Kato Kisule, ucciso nel 2011. Se il dolore di Francesco I è sincero, come mai Wamika è ancora al suo posto? Come mai la chiesa non prende provvedimenti contro chi predica la violenza e l’odio contro gli omosessuali?
E se qualcuno pensasse che certe cose avvengono solo nel terzo mondo, ma che questa non è la posizione del Vaticano (come se nella chiesa romana ci fosse libertà di pensiero…), eccovi un piccolo estratto di quanto Monsignor Tomasi, allora nunzio vaticano presso l’ONU, disse nel 2011 contro la moratoria che voleva abolire la condanna dell’omosessualità:
La gente viene attaccata perché prende posizione contro le relazioni fra persone dello stesso sesso…
…quando esprimono dei pareri del tutto normali basati sulla natura umana vengono stigmatizzati, e ancor peggio, perseguitati e sviliti.
Questi attacchi sono una chiara violazione dei diritti umani fondamentali e non possono essere giustificati in nessun caso…
Peccato che la moratoria parlasse delle torture, della galera e della morte che molti paesi ancora prevedono per le persone omosessuali. Insomma, per il Vaticano uccidere i gay è un “diritto umano” degli omofobi. Ai tempi sul Soglio di Pietro sedeva Benedetto XVI, ma questa posizione non è stata messa in discussione da Francesco I, al di là di certe frasi di sicuro impatto mediatico, prive, però, di seguito.
Ecco dunque la realtà della chiesa romana: una chiesa omofoba che ritiene che uccidere, torturare, sbattere in galera le persone per il loro orientamento sessuale differente da una presunta “normalità” sia un “diritto umano”, una chiesa che perseguita i sacerdoti che sostengono la necessità dell’accettazione e dell’inclusività verso le persone glbt, una chiesa che sostiene e tollera chi predica odio.
E finché ci saranno dei Charles Wamika o dei Massimiliano Pusceddu che incitano alla violenza dal pulpito senza pagarne la benché minima conseguenza, la sua solidarietà, Santità, se la può tenere, perché a noi suona davvero come una presa in giro, caro il nostro “sepolcro imbiancato”.
Potremo, forse, prendere in considerazione le sue parole quando i violenti saranno rimossi dai pulpiti e ridotti allo stato laicale, quando la smetterete, voi cattolici romani, di insultare e incitare all’odio contro le persone glbt e quando chiederete scusa per i vostri crimini di omofobia. Allora, forse, accetteremo la solidarietà per le vittime. Ma finché la chiesa romana continuerà a diffondere omofobia e odio, la sua solidarietà, Santità, varrà per noi quanto uno sputo sull’asfalto.
Enrico Proserpio