Nei giorni scorsi nel carcere di Monza sono morti due uomini. Il primo, Vittorio Fernando Vincenzi, aveva cinquantasei anni ed era in carcere in attesa di giudizio per l’omicidio della compagna. Si è suicidato giovedì 23 marzo nel reparto infermeria del carcere. Il secondo era un giovane ventinovenne, del quale non conosciamo il nome. È morto inalando gas da un fornelletto che aveva in cella. Non è chiaro a quale scopo il giovane lo abbia fatto: forse per cercare lo “sballo” o forse proprio per suicidarsi.
I casi di Monza non sono isolati. Nel solo 2016 nelle carceri italiane si sono registrate centoquindici morti, di cui quarantacinque dovute a suicidio. In questi primi mesi del 2017 i morti sono già stati ventinove, di cui quattordici per suicidio. Cifre che dovrebbero far pensare e che dovrebbero indurre la politica a occuparsi in modo serio della questione delle carceri, che sono sempre più sovraffollate e sempre più inumane.
Tanto per cominciare, sorge una domanda: il carcere è davvero necessario o, almeno, utile? Dagli studi fatti nei decenni passati sembrerebbe di no. Il concetto del “deterrente” si è dimostrato del tutto errato. Del resto, se il carcere funzionasse come deterrente, le sue celle non sarebbero affollate. Il fatto stesso che le prigioni siano piene dimostra chiaramente che non fanno così tanta paura da indurre le persone a non delinquere. Inoltre in carcere i delinquenti si incontrano e si organizzano. Sono molte le persone finite in prigione per piccoli reati ed entrate in giri più grossi grazie ai contatti avuti, appunto, in carcere. Anche il terrorismo islamico, che in questi giorni ha colpito l’Europa, fa molti dei suoi proseliti in carcere. Gli attentatori che fecero la strage nella redazione di Charlie Hebdo erano ragazzi cresciuti nei quartieri poveri e degradati di Parigi. Finiti in carcere per piccoli reati, hanno incontrato il fanatismo islamico e si sono radicalizzati.
Potrà quindi sembrare assurdo e paradossale, ma dai dati raccolti si evince che il carcere non solo non risolve i problemi legati alla criminalità, ma li peggiora. L’abolizione del carcere sarebbe quindi un passo importante verso un mondo davvero più giusto e sicuro:
Sì, abolire il carcere è possibile, innanzitutto nell’interesse della collettività, di quella maggioranza di persone che pensano di non essere destinate mai a finirci e che, con lo stesso, mai avranno alcun rapporto nel corso della intera esistenza. L’abolizione del carcere è, insomma, una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini, che ne avrebbero tutto da guadagnare.
Perché, dunque, fare a meno del carcere? Semplice: perché a dispetto delle sue promesse non dissuade nessuno dal compiere delitti, rieduca molto raramente e assai più spesso riproduce all’infinito crimini e criminali, e rovina vite in bilico tra marginalità sociale e illegalità, perdendole definitivamente.[1]
Così dicono gli autori del libro “Abolire il carcere”, del 2015, edizioni Chiarelettere. Un libro utile a comprendere la situazione attuale e le proposte per il futuro. Un’analisi lucida e interessante di questo problema.
Ovviamente non si può pensare di eliminare il carcere in un solo colpo. Si deve cominciare un percorso di riforma del sistema che modifichi il modo di agire delle istituzioni riguardo la gestione della criminalità.
Il primo passo sarebbe la depenalizzazione di una serie di piccoli reati, soprattutto quelli legati al consumo di stupefacenti. Sono tanti i ragazzi che finiscono in cella per aver maneggiato marijuana e vengono reclutati in carcere dalla malavita. Ragazzi che, per citare Blow, sono entrati con un diploma in marijuana e sono usciti con un dottorato in cocaina.
Il secondo è modificare le strutture carcerarie e le loro regole per renderli più umani e adatti allo scopo rieducativo che dovrebbero avere. Una cosa già iniziata in alcune strutture (esemplare quella di Bollate) con risultati molto incoraggianti (tra gli altri, una recidiva nettamente inferiore che nelle carceri “tradizionali”), ma ancora troppo marginale.
Ciò che però è più importante è la prevenzione, intervenendo in quelle situazioni sociali di miseria e degrado che generano delinquenza e crimine. Eliminando le situazioni criminogene si eliminerà gran parte del crimine. La maggioranza dei detenuti ha un basso tasso di scolarizzazione e proviene da quartieri degradati o da realtà di povertà e miseria economica e umana. Non è un caso se tra i detenuti la percentuale di persone appartenenti a gruppi sociali ed etnici discriminati è molto più alta che nella società “esterna”. Risolvere queste situazioni è quindi importantissimo al fine di impedire l’insorgere della delinquenza. I restanti reati potranno essere affrontati inserendo i colpevoli in percorsi rieducativi diversi dal carcere e molto più utili e funzionali.
Il cambiamento più importante, però, dobbiamo farlo tutti noi. È necessario cambiare il modo di vedere il mondo e la società, riscoprendo la solidarietà e abbandonando le idee violente e punitive. Il carcere, così come è ora, non è uno strumento rieducativo, ma solo una vendetta istituzionalizzata. E la vendetta è indegna di un popolo civile. Delitto e castigo sono figli della stessa mentalità violenta. Se vogliamo una società davvero sicura dobbiamo uscire dal circolo vizioso della violenza e instaurare il circolo virtuoso della solidarietà sociale e umana.
Al momento, però, la direzione presa dalla nostra società sembra essere quella opposta. Vediamo ogni giorno una violenza crescente, anche nel modo di confrontarsi con gli altri. Il dialogo sereno e rispettoso sembra ormai un lontano ricordo. In tutto ciò si inseriscono poi i media e la politica che sull’odio e sullo scontro guadagnano ascolti e consensi. Proporre una riforma del carcere può divenire difficile in un paese dove diversi partiti fanno della facile retorica della “tolleranza zero” e delle leggi draconiane uno strumento di propaganda.
L’unico partito che si batte da anni in modo serio per una riforma del carcere è il Partito Radicale, che ha più volte proposto l’amnistia e la depenalizzazione di diversi reati. Negli altri partiti il tema non è molto sentito se non da singoli politici. A tal proposito ricordiamo la battaglia contro i manicomi criminali portata avanti dall’ex sindaco di Roma Ignazio Marino.
Concludo consigliando la lettura dei due interessanti libri sul tema: il già citato “Aboliamo il carcere” di autori vari, e il “Aboliamo le prigioni?” dell’americana Angela Davis.
Enrico Proserpio
[1] Autori vari, “Abolire il carcere”, edizioni Chiarelettere, 2015, pagina 4. Grassetto nostro.