di Mario Alberto Marchi
“La politica di bilancio espansiva, prevista dall’Italia, vale il 3% del Pil, ed è in buona parte dovuta al Fondo Ue di ripresa Rrf e agli investimenti pubblici nazionali. Ma la metà di questa percentuale (l’1,5% del Pil) è composta da “un aumento della spesa pubblica oltre il valore di riferimento”. La UE “la tocca piano”, sicura che chi ha orecchie per intendere , intenderà. E sulle frequenze sulle quali trasmette Bruxelles, Mario Draghi non può che essere ben sintonizzato.
Il Governo ha presentato la bozza del documento di Programmazione e Bilancio, illustrando il prossimo meccanismo di intervento pubblico sull’economia con precisione e chiarezza, ma non è bastato a tranquillizzare del tutto la Commissione. Tutto bene per il paino di sostegno alla produttività, per l’impiego dei fondi del PNRR, ma resta il nodo critico della spesa pubblica, sulla quale nemmeno il “Governo dei Migliori” pare essere riuscito a fornire rassicurazioni sufficienti.
Oltre ad una tradizione di eccessivo ricorso al portafogli statale, viene fatto notare il peso del contrasti al Covid: spesa inevitabile, ma che in qualche modo dovrà essere compensata, senza distrarre risorse ad altri settori.
Nelle note si legge che è previsto che “Il costo delle misure di supporto alla ripresa, in parte finanziate dal PNRR, e da altri fondi Ue, nel 2022 superi il 3% del Pil in Italia, Austria e Lettonia, e sarà oltre il 2% in altri sette Paesi membri”. In pratica , si fa notare che a Bruxelels non passi inosservata la condizione di iscrizione dell’Italia nel club delle “pecore nere” e in un altro passaggio si va anche oltre, intimando di astenersi dalla tentazione di giochini contabili: “L’impatto dell’aumento della spesa pubblica sulla posizione fiscale dell’Italia ammonta all’1,5% del Pil. L’Italia ha un elevato debito pubblico, e ha ricevuto raccomandazioni per limitare la crescita della spesa pubblica e usare il PNRR per finanziare gli investimenti aggiunti per la ripresa, perseguendo anche una politica fiscale prudente”.
L’accento viene messo su quella che è chiamata “qualità della spesa”,insomma il rimprovero preventivo non è su quanto si stia spendendo, ma sul come . Nel mirino le riforme del welfare, le eventuali misure per rendere permanente la cassa integrazione introdotta durante la pandemia, ma, soprattutto, gli esposti più legati a questioni strutturali, come quelle le pensioni e poi la riforma fiscale.
La fortuna è che sta andando avanti la sospensione del patto di stabilità. Finchè dura, l’impegno richiesto è di dimostrare di essere buoni architetti, più che bravi muratori.
Abbiamo tempo? Non poi tanto, visto che la clausola dovrebbe cessare definitivamente nel 2023. La data suggerisce però un risvolto politico che è una mezza garanzia: a meno di imprevisti sarà anche il momento dell’uscita di scena di Mario Draghi nelle vaste di Presidente del Consiglio. Difficile che voglia correre il rischio di non avere rimesso in riga il Paese.