di Gabriele Rizza
È ancora in bilico il futuro della nostra compagnia di bandiera. Lo è per la verità dalla metà degli anni ’90, da quando il governo guidato da Romano Prodi ha venduto buona parte delle azioni a privati, senza però un partener industriale solido alle spalle. Da lì un susseguirsi di trattative mai decollate con compagnie più forti, ipotesi di esuberi, la questione della centralità di Fiumicino a discapito di Malpensa e l’intervento dei “capitani coraggiosi”, sensato ma senza una solidità finanziaria e soprattutto senza idee, fino ad arrivare agli accordi con Etihad, che di nuovo ha portato solo l’imposizione del velo alle nostre hostess.
Alla base del trentennale fallimento di Alitalia, non ci sono solo la discontinuità manageriale e le lacune finanziarie: c’è non aver capito in tempo come cambiava il mondo dei trasporti a livello nazionale e internazionale, e peggio, aver tentato di insistere sulla strada sbagliata. Infatti, dalla sua nascita, Alitalia è sempre stata una compagnia legata al trasporto interno al territorio nazionale, del resto l’aereo era l’unica soluzione per un tragitto veloce e comodo. Treni e autostrade non avevano ancora raggiunto l’efficienza di oggi. Il colpo di grazia è arrivato dall’alta velocità, in particolare la Roma – Milano, in poco più di tre ore e con una crociera confortevole per l’utente. Il business dove spostarsi sui tragitti intercontinentali, cavalcando anche la vocazione turistica dell’Italia, sempre più frequentata da turisti cinesi e brasiliani, sempre più al centro del commercio legato al “made in Italy” che guarda sempre più fuori dall’Europa. Non è stato fatto, per scarse risorse e strategie, e si è preferito fare da stampella in Italia ad Airfrance o agli arabi, proseguendo la strada del “trasporto locale”, sempre più appannaggio della ferrovia e dominato dalle compagnie aeree low cost. Perché si sottovaluta il ruolo di Ryanair e simili, sono stati il “terremoto dei cieli” che ha stravolto il mondo delle compagnie aeree con prezzi stracciati rispetto ad Alitalia. Di più, una parte importante – in negativo – l’hanno giocata le Regioni e gli Enti locali: sono proprio loro che finanziano le compagnie low cost per mantenere certi scalo, il più delle volte aeroporti isolati e non strategici, buoni per qualche posto di lavoro che si poteva creare con più ragionevolezza in mille altri settori e per qualche consenso elettorale, come al solito.
Oltre che un “orrore” imprenditoriale, Alitalia è anche il caso di uno spirito italiano che si è perso. Da sempre legato a terre lontane e all’esplorazione, dai primi naviganti nelle Americhe, ai primi commerci navali con la Cina, fino alla prima traversata aerea transoceanica negli USA negli anni ’30 del novecento per opera dell’aviatore Italo Balbo, tutt’ora ricordato con una via a lui intitolata a Chicago, l’Italia ha riposto in soffitta le sue ali, ossia buona parte della sua vocazione nel mondo.