Alla fine il “colpo di scena” non si è verificato: l’imprevisto che smentisce tutti i sondaggi e le previsioni unanimi degli analisti sembra essere rimasto – per ora – un caso confinato all’elezione di Trump nel 2016.
7 NOVEMBRE 2018 – SALVATORE BORGHESE – YOUTREND
Alla fine il “colpo di scena” non si è verificato: l’imprevisto che smentisce tutti i sondaggi e le previsioni unanimi degli analisti sembra essere rimasto – per ora – un caso confinato all’elezione di Trump nel 2016. Le elezioni di midterm statunitensi sono andate secondo le attese: i Democratici hanno guadagnato molti seggi alla Camera, conquistando la maggioranza assoluta e strappandone il controllo ai Repubblicani; Repubblicani che però hanno mantenuto il controllo del Senato, persino aumentando il proprio “bottino” (da 51 a 54-55 seggi).
Camera
Lo spoglio non è ancora terminato, ma i Democratici dovrebbero aver ottenuto più di 30 seggi rispetto ai 194 che avevano alla vigilia: ben oltre i 218 seggi necessari per vincere la maggioranza di questo ramo del Congresso. Un risultato non facile da pronosticare, perché la Camera rinnova ogni 2 anni tutti i suoi 435 seggi, spesso con risultati inaspettati a livello di singoli collegi. Non si è però verificata la “blue wave” (“onda azzurra” – l’azzurro in America è il colore dei Democratici, ndr) che alcuni paventavano: i Democratici hanno sì prevalso, ma senza “travolgere” i Repubblicani. Hanno fatto il minimo indispensabile per ribaltare la situazione – e anche qualcosina in più. Nel voto popolare, hanno ottenuto oltre 8 punti percentuali più dei Repubblicani: ma anche questo era stato ampiamente previsto, come era previsto che (a causa del “gerrymandering” in molti stati repubblicani) anche un vantaggio di questo tipo non avrebbe garantito con certezza un’ampia maggioranza ai Democratici.
La vittoria dem è stata possibile anche grazie ad alcuni risultati sorprendenti in distretti considerati invece molto favorevoli – quasi certi – per i repubblicani: da segnalare in particolare la vittoria di Max Rosenell’11 distretto congressuale di New York (il repubblicano Dan Donovan era dato vincente al 4 a 5); quella di Joe Cunningham nel 1° distretto della Carolina del Sud contro Katie Arrington e, infine, di Kendra Horn nel 5th distretto dell’Oklahoma contro Steve Russel.
Tra le tante storie di rinnovamento che vengono dalle sfide per la Camera alcune meritano senz’altro di essere menzionate: a cominciare da quella della democratica Alexandria Ocasio-Cortez, la più giovane deputata (29 anni) mai eletta al Congresso, che vince a New York con il doppio dei voti del suo predecessore. Rashida Tlaib è invece la prima deputata USA di origini palestinesi. Queste Midterm sono state anche la “prima volta” per delle deputate native americane – Davids e Haaland, elette in Kansas e New Mexico. Infine, il Texas ha eletto le sue prime due deputate latino-americane (Escobar e Garcia).
Senato
Discorso analogo a quello della Camera (ma di segno politico opposto) per il Senato, dove i Repubblicani rispettano i pronostici, non solo mantenendo la maggioranza ma anzi rafforzandola ulteriormente(arrivando a 54-55 seggi). In palio c’erano solo 35 seggi (su 100) e non tutte le sfide erano aperte. Al GOP è però bastato confermarsi laddove partiva anche solo leggermente favorito e vincere in alcuni seggi in bilico. Tra le file dei repubblicani, si sono confermati due ex aspiranti della Casa Bianca: Mitt Romney (candidato nel 2012) nello Utah e Ted Cruz (sconfitto alle primarie del partito da Trump nel 2016), in Texas. Quest’ultimo ha vinto quella che forse era la sfida senatoriale più attesa della vigilia, contro un astro nascente dei Democratici come Beto O’Rourke: il distacco finale tra i due è stato molto contenuto (un paio di punti) ma il Texas si è confermato anche in questa occasione un “red state”.
Nonostante la sconfitta, l’ottimo risultato di Beto sembra non precludergli un futuro luminoso nel partito dell’asinello. Sempre in Senato, e sempre tra le fila dem, si sono confermati alcuni “vecchi” come Bernie Sanders, in realtà in corsa come indipendente, in Vermont (con oltre il 67% dei voti) e Elizabeth “Liz” Warren in Massachusetts.
Governatori
Nell’elezione per i governatori degli stati potremmo dire che la sfida si conclude senza sconfitti, ma con un Partito Repubblicano che fa meglio del previsto: i Democratici vincono infatti in diversi stati dove governavano i Repubblicani (Illinois, New Mexico, Michigan, Kansas – quest’ultimo un “red state”). Il GOP, dal canto suo, ha però conquistato alcuni stati molto “pesanti” come la Florida (vinta per un soffio da Ron DeSantis, sulla cui vittoria aleggia però l’incognita di un possibile riconteggio) e l’Ohio con Mike DeWine. Anche il conteggio complessivo degli stati andati al voto (36 in totale su 50) premia i repubblicani, che vincono – o comunque vedono i suoi candidati in vantaggio dove lo spoglio non si è ancora concluso – in 20 casi.
Le conseguenze di questo voto
Il Presidente Trump ora è quella che in gergo si definisce “anatra zoppa”: non ha più la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, e dovrà scendere a compromessi con i democratici se vorrà far passare le sue riforme. La Camera peraltro ha dei poteri ispettivi che – anche senza arrivare alla richiesta di impeachment per il Presidente – può mettere in difficoltà l’Amministrazione. Da oggi quindi il corso della presidenza Trump è destinato a cambiare. D’altra parte, il risultato migliore del previsto del partito del Presidente in Senato e nelle corse per i governi degli stati anticipano un elemento da non sottovalutare: se vorranno avere la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, i democratici, nel 2020 dovranno compiere una vera e propria impresa.
FONTE: YOUTREND