di Martina Grandori
In tempi di sostenibilità, in tempi di filantropia e welfare dell’abitare, si fanno sempre più spazio i nuovi progetti di social housing, il concetto di abitazioni dove l’innovazione tecnologica e progettuale a favore della sostenibilità ambientale, l’innovazione sociale a fronte di una miglior qualità di vita all’interno dell’edificio e all’interno della comunità che lo abita, sono il cuore dell’ideazione di questi spazi abitativi urbani. Il nuovo cohousing, o abitare insieme, parte quasi sempre dalla riqualificazione di zone metropolitane fuori dal centro cittadino, in zone dove comunque ci sono molte famiglie e giovani che vi abitano. Primo step la riqualificazione energetica con l’installazione di pannelli solari e fotovoltaici, perché un risparmio energetico è sempre un punto chiave, unita ad una riqualificazione energetica che migliora la stessa classificazione a ad una gestione più illuminata. All’interno, gli appartamenti seguono il concetto di flessibilità, così gli spazi possono fluidamente adeguarsi all’evolversi delle necessità abitative (specialmente quando ad abitarvi è una famiglia con i figli che crescono e con loro si cambiano anche le necessità di spazi e disposizioni). E poi la socialità, la vera novità dell’abitare dei tempi nostri. Un concetto di smart social housing che si inseriscono in macro piani di riqualificazione di aree periferiche. Scopo di questi progetti che stanno prendendo forma pian piano in tutte le Regioni, ridare valore soprattutto alle relazioni umane che in questi decenni sono letteralmente scomparse. Riprendere il concetto dell’abitare collaborativo di un tempo, dove i vicini di casa non erano fantasmi o persone da cui scappare, ma parte di un’unica comunità in carne ed ossa con cui aiutarsi e tenersi compagnia: sembra quasi fantascienza se si pensa al vivere virtuale di oggi. Comune denominatore di questi progetti di social housing i canoni d’affitto calmierati, accessibili anche ai giovanissimi o a persone disabili (a Milano il progetto Fondazione Housing Sociale promosso dalla Fondazione Cariplo affitta 100 metri quadri commerciali a 600 € al mese, circa il 30-40% in meno rispetto ai prezzi di mercato). È dal 2009, con l’approvazione del Piano Nazionale per l’Edilizia Abitativa, l’esperienza del Sistema Integrato dei Fondi immobiliari per l’Housing Sociale (SIF) tramite il quale si è arrivati a dare una risposta strutturata su scala nazionale alla domanda di case a canoni accessibili. Il SIF ha previsto, infatti, l’attivazione di un Fondo di Investimenti per l’Abitare (FIA) a scala nazionale, gestito da una società di gestione del risparmio, CDPI sgr, di cui sono azionisti la Cassa Depositi e Prestiti, l’Associazione delle Banche Italiana e l’Associazione delle Fondazioni di origine bancaria che, con una dotazione di 2 miliardi di euro, ha facilitato l’istituzione di una serie di fondi locali etici dedicati a iniziative di housing sociale, promosse dagli stakeholder attivi sui territori (amministrazioni locali, fondazioni di origine bancaria, aziende per la casa, operatori privati e del privato sociale) e che operano per l’interesse pubblico e l’utilità sociale. Infatti fra gli scopi di questi progetti di social housing, c’è quello di invogliare gli inquilini di questi condomini all’ottimizzazione del quotidiano (leggi anche venirsi incontro su impegni, incombenze, ma anche usufruire di spazi comuni per classi di yoga o di inglese, per una lavanderia condominiale, o un orto condiviso dove ognuno partecipa), migliorando la condizione abitativa.Utopia? No, ma nemmeno un’ovvietà. Riuscire a concretizzare questi progetti di co-abitazione sociale e consapevole in quartieri periferici è anche una sfida culturale. Una sfida filantropica che vuole unire, vuol dire ricucire rapporti umani che la frenesia del tempo d’oggi ha sbiadito per non dire addirittura lacerato. Ed ecco che allora la cultura diventa trade union come accade a Milano con Mare Culturale Urbano, una cascina trasformata in un hub culturale di gruppo aperto a tutti, ma soprattutto un riferimento per il quartiere di via Novara: una sorta di agorà, di grande piazza con spazi coworking, sale prova, sale da ballo o sale per allestire foto shoot, e ovviamente Mare Birra e Cucina, il bar ristorante di questo hub culturale. Perché il convivio davanti ad un cibo semplice e un bicchiere di vino è forse la prima forma di social housing che tutti noi conosciamo e pratichiamo quotidianamente.