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mercoledì, 18 Dicembre, 2024

BUY BETTER, WEAR LONGER: la generazione Z mette sotto inchiesta la credibilità dei brand e del greenwashing

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di Martina Grandori

Una generazione non facile, fluida, molto critica verso la classe dirigente, preoccupatissima per il futuro del Pianeta e di chi ci vivrà. È l’esercito di attivisti arrivati da tutto il mondo che a Glasgow si è presa la scena mediatica protestanti per quel disastro ambientale in corso. La generazione Z, quella della contestazione alle inefficaci e inutili pratiche ambientaliste adottate dai potenti della Terra. I contestatori del greenwashing che spesso occulta la reale attitudine ambientalista di un’azienda che di fatto non si impegna come dovrebbe nel diminuire il proprio impatto sulla Terra. Giovani vittime di un sistema, giovani che si sentono impotenti e che stanno cercando di innescare, e soprattutto accelerare, una rivoluzione anche dei consumi. Vogliono fare qualcosa e vogliono farlo subito, hanno fretta di aiutare Madre Natura.  

Sì, perché la crisi climatica è parte figlia del fast fashion, di un vivere acquistando impulsivamente capi a basso costo,  di bassissima qualità ma ad alto impatto ambientale. Tutto ciò è molto chiaro ai giovani che da tempo contestano alle aziende storytelling poco credibili, in pratica contenuti di facciata e poca sostanza. La generazione Z vuole un linguaggio semplice e diretto, lontano da stereotipi e luoghi comuni, vogliono azioni concrete a favore di un cambiamento dei consumi, non bla-bla-bla. L’immediatezza di una comunicazione fatta soprattutto di immagini che emozionino, capaci di aggregare, unire. Instagram docet. Un rompicapo non da poco per le aziende boomer visto che questa fascia di new spender rappresenta oltre il 40% degli acquirenti mondiali, la rivoluzione nell’acquisto è urgente tanto quanto quella climatica, “solo se si lavorerà tutti insieme per ridurre l’impatto ambientale si potrà auspicare un cambiamento” ha dichiarato Jaden Smith, figlio dell’attore Will, molto sensibile alla causa e idolo dei ragazzi.

Ad analizzare questo stile di vita dei paladini del Pianeta, una nuova indagine del Centro di Ricerca International Marketing & Sales (Cimasc) dell’Università IULM capitanato dalla professoressa Daniela Corsaro. Un’indagine scritta a seguito di interviste fatta ad un campione fra i 15 e i 29 anni e provenienti da 186 paesi nel mondo. Frutto di questo nuovo modo di vivere più consapevolmente anche nelle piccole cose, la campagna di questa primavera di Levi’s “acquista di meno e indossa più a lungo”, un messaggio inequivocabile che arriva dall’America, nazione votata all’acquisto impulsivo, e che invece invita a riflettere sulla longevità di un paio di jeans. Il 76% dei prodotti Levi Strauss & Co è oggi prodotto con la tecnologia Water<Less, realizzati con una serie di tecniche di finissaggio che hanno consentito di risparmiare oltre 4 miliardi di litri d’acqua e portarne il riciclo a quasi 10 miliardi di litri sin dalla loro introduzione.  

Un grande, dirompente potere, quindi, quello della generazione Z, capaci di coinvolgere, di farsi carico e dar voce anche per quelli che non possono partecipare ma che sono dalla loro parte. Una generazione iperconnessa che non teme l’overload mediatico, cosa che invece i professionisti cinquantenni, molto spesso non riescono a gestire al meglio: il poco tempo a disposizione dei lavoratori più maturi disorienta e l’interazione mondo digitale-persona ne risente. 

Sembrerebbe così che il modello pushing di vendite istintive e incontrollate stia tramontando, nelle dinamiche del futuro vince un approccio di relazione, quello che in gergo si chiama perspective selling, ossia mettersi nei panni del prossimo. Pensare all’ambiente, al bene della  comunità e meno a se stessi.

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