di Gabriele Rizza
Se tra i più grandi vincitori delle elezioni del 25 settembre tutta la stampa è concorde nell’annoverare Giorgia Meloni, con i suoi 6,5 milioni di elettori in più rispetto al 2018, e Giuseppe Conte, capace di far risalire un Movimento Cinque Stelle al 15%, dopo che i sondaggi prima dello strappo dal governo Draghi lo davano sotto la doppia cifra, pur dimezzando il record del 32% del 2018, c’è anche un vincitore strategico passato inosservato: Silvio Berlusconi. A volte, e in Italia ancor di più se prendiamo in esame la storia repubblicana della nazione, non è solo il volume in assoluto dei voti ad essere determinante, ma anche il loro valore rispetto a tutte le forze presentatesi alle elezioni. Perciò andiamo ai nastri di partenza: il centrodestra, trainato dalla destra della coalizione, presentava Forza Italia come forza dichiaratamente liberale e moderata, il centrosinistra faceva il classico centrosinistra più di establishment con ampie sfumature radical chic, i Cinque Stelle la sinistra populista, e da ultimo, e decisivo per comprendere il ruolo di Forza Italia, il duo Calenda – Renzi come forza indipendente liberale e moderata che guardava a sinistra tendando di rosicchiare anche al centrodestra quegli elettori non convinti dalla destra di Meloni – Salvini. Con il Rosatellum il rischio era che si creasse una situazione di stallo, simile a quella del 2018, perché è una legge elettorale pensata più per due poli forti che per tre, come se non esistessero i Cinque Stelle. In questo scenario, il duo Renzi – Calenda puntava a scompigliare ancor di più le carte, puntando semplicemente a non far vincere nessuno per ricreare le condizioni di un nuovo governo Draghi, o perlomeno sullo stesso modello, in modo da vincere senza vittoria (e l’Italia di vincitori senza vittoria ne è sempre stato piena, vedasi gli ultimi dieci anni di PD al governo). I due liberali – moderati tendenti al progressismo entravano per stile e identità in competizione con il PD a sinistra e con Forza Italia a destra (grazie anche all’arruolamento di pezzi storici come Mara Carfagna), e poiché in fondo Renzi e Calenda non sono stolti, il loro obiettivo dichiarato del 10% era quasi sufficiente per realizzare il loro piano. Non ce l’hanno fatta, con il loro 7,7%, meno dell’8,1% portato a casa da Forza Italia. Si evince così la capacità di Silvio Berlusconi di intercettare – pur perdendo 2,3 milioni di elettori rispetto al 2018 andati perlopiù a Giorgia Meloni -ancora una volta il voto moderato e liberale. Se non ci fosse riuscito, bastava circa un 2% in meno alla coalizione di cdx per rendere più difficile, se non improbabile, la governabilità. Non solo ha tenuto, rendendosi la chiave della governabilità, ma si è ancora una volta imposto come prima forza liberale, superando moralmente e simbolicamente Calenda e Renzi. Per peso politico si può considerare il risultato del 2022, più importante della clamorosa rimonta del 2013, quello che doveva essere il suo ultimo colpo di coda.