Gli attentati di San Pietroburgo hanno scosso di nuovo l’Europa, riportando l’attenzione sul tema del terrorismo islamista. E come tutte le altre volte è partito il tam tam della solidarietà (più che corretta e doverosa) verso le vittime e quello delle condanne “senza se e senza ma” della politica. Ma siamo sicuri che sia giusto?
Da anni imperversa in politica lo slogan “senza se e senza ma”, usato in ogni ambito e per ogni argomento, per mostrare una sorta di forza e di determinazione, spesso solo di facciata. Un atteggiamento che sembra ormai divenuto l’unico modo di discussione: lo scontro tra posizioni diverse senza dialogo e confronto. Perché se si eliminano i “se” e i “ma” nella discussione politica rimangono solo le urla e il tentativo di prevaricazione e imposizione delle proprie idee su quelle altrui. I “se” e i “ma” sono da sempre l’essenza dalla politica e del civile dibattito. È proprio analizzando le varie situazioni e i vari temi, evidenziando eventuali errori e problematicità e proponendo delle soluzioni che siamo arrivati dove siamo ora. Senza i “se” e i “ma” saremmo ancora in giro per i boschi a raccogliere frutti e cacciare animali, indossando vestiti di pelli.
Ecco perché anche in occasione degli attentati (non solo di quelli russi) è il caso di analizzarne le cause, anche quelle storiche e lontane, oltre che quelle immediate, per poter agire in futuro diversamente ed evitare nuovi episodi.
Cerchiamo quindi di capire qualcosa di questi attentati o, per lo meno, di fare qualche considerazione.
Il terrorismo islamico è figlio dei nostri tempi e, in gran parte, della politica estera di stampo colonialista dell’Occidente. L’integralismo islamico è, infatti, un fenomeno moderno e non un rimasuglio di medioevo come tanti pensano. Gli stati islamici che oggi sono sempre più bigotti e che fomentano i movimenti integralisti erano, qualche decennio fa, spesso molto più laici e democratici. È il caso dell’Egitto (che comunque resiste ai tentativi di prendere il potere dei Fratelli Musulmani) o quello dell’Afghanistan. A Kabul, per fare un esempio, negli anni settanta c’erano discoteche dove le ragazze andavano a ballare in minigonna. Una cosa stupefacente se paragonata alle immagini di donne coperte dal burqa che ci giungono oggi da quel paese. Addirittura la repubblica afghana, di stampo socialista, fece fortissime politiche di laicizzazione del paese, dando il diritto di voto alle donne, proibendo il burqa e l’utilizzo delle donne stesse come “merce di scambio” per matrimoni combinati per interessi economici, imponendo agli uomini di rasarsi la barba. Cosa è successo dunque? Successe che, per ragioni di sfiducia verso il capo di stato afghano, l’URSS invase il paese. L’armata rossa entrò a Kabul il 27 dicembre del 1979. I sovietici abbandonarono il paese solo dieci anni dopo, alla fine di una lunga guerra contro i mujaheddin, guerriglieri islamisti finanziati segretamente dagli USA. Con la fine del dominio sovietico inizia quindi la storia dell’Afghanistan islamista. I mujaheddin lasciarono presto il posto ai Talebani. Ciò che successe in seguito, lo conosciamo tutti.
A tal proposito ricordo un servizio della rivista “Re nudo” che, in occasione della distruzione delle due statue di Buddha, ricordava che i Talebani davano ospitalità al famigerato terrorista Osama Bin Laden e si chiedeva cosa aspettasse l’Occidente a intervenire. La rivista faceva notare che la distruzione delle statue, per quanto grave, non era che una sciocchezza in confronto alle violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo afghano. Era il marzo del 2001. Pochi mesi dopo l’Occidente avrebbe pagato un caro prezzo per la sua arroganza e la sua superficialità.
Da allora le politiche occidentali sono cambiate, ma continuano a essere miopi e inefficaci. Non si può ridurre il terrorismo a un problema di sicurezza. Il terrorismo ha delle radici politiche e culturali che non si possono ignorare. Pensare solo all’aspetto della sicurezza, con indagini e arresti (comunque necessari) non porrà fine agli attentati. Per quanto meticolosa ed efficiente possa essere l’attività di intelligence, non riuscirà mai a fermare tutti gli attentatori, soprattutto considerando la natura particolare del terrorismo islamico, che non è organizzato in modo piramidale, ma per cellule tra loro indipendenti o, addirittura, in singoli individui che in modo del tutto autonomo decidono di agire. Per compiere un attentato nel nome di Daesh (o ISIS che dir si voglia) è sufficiente recitare il giuramento (scaricabile da internet) senza avere contatti reali con le gerarchie del sedicente “califfato”.
E nemmeno le guerre porranno fine al terrorismo. Anche se Daesh fosse sconfitto, il terrorismo non si fermerebbe, ma cambierebbe soltanto simbolo e nome.
Dobbiamo quindi combattere il terrorismo ponendo fine alle sue cause, magari smettendo di interferire continuamente con la politica interna degli stati esteri, cercando in modo maldestro e arrogante di imporre la nostra visione del mondo e della società a tutti. Ogni popolo ha il diritto di autodeterminarsi, senza che gli vengano imposti modelli non suoi. Finché ci comporteremo in modo coloniale, non potremo stupirci delle reazioni.
La Russia, oggi, paga le conseguenze delle oppressioni che ha compiuto in passato. I vari nazionalismi delle repubbliche ex-sovietiche si sono fusi, nei paesi con forte presenza islamica, con l’islamismo. Non è un caso che l’attentatore di San Pietroburgo non sia un immigrato di origine nordafricana o, chessò, pachistana, ma un chirghiso. E non saranno certo i provvedimenti da sbruffone di Vladimir Putin a evitare nuovi attentati e nuovi morti. Del resto che il sistema di sicurezza russo non sia poi così efficiente come vorrebbe far credere al mondo è sotto gli occhi di tutti. A coloro, poi, che vorrebbero importare tale modello anche da noi, ricordo che in Russia c’è più delinquenza che in Italia e che da noi di attentati ancora non ce ne sono stati. Solo un caso?
Perché si possa fare una politica simile, però, sarebbe necessaria una visione di lungo respiro, che guardi ai prossimi decenni e non solo alle prossime elezioni. Bisognerebbe fare politiche razionali e proporre progettualità complesse che non portano consensi e non permettono di farsi belli con la “tolleranza zero”. I rimedi (falsi) alla Putin portano senza dubbio più voti. Il che ci fa dubitare del fatto che certa politica voglia davvero eliminare il terrorismo. Per tutti coloro che nel mondo occidentale campano sulla paura dello straniero e dell’islamico (da Putin a Trump, dalla Le Pen a Salvini, da Farage a Orbàn) gli attentati sono una pacchia. Ogni bomba è, per loro, campagna elettorale gratuita. Non stupisce quindi che inneggino alla “condanna senza se e senza ma”, visto che una seria analisi smonterebbe facilmente le loro tesi. Inoltre non stupisce che chiedano di mettere soldati a destra e a manca, proponendo misure di sicuro valore “estetico” ma di scarsa (se non nulla) efficienza.
Concludo con una precisazione: per quanto le misure draconiane siano inefficaci e, anzi, producano spesso effetti opposti a quelli sperati, non si deve nemmeno cadere nell’eccesso opposto. Non possiamo pensare che tutto sia tollerabile. Come ho già avuto modo di dire in altri articoli, è necessario difendere le basi democratiche e libertarie della nostra cultura, accogliendo chi rispetta tali principi e contrastando ogni fanatismo e ogni idea violenta. Ma ciò va fatto con l’uso della ragione, facendo tutti i necessari distinguo e mettendo in atto quei provvedimenti che servano a risolvere i problemi rimuovendone le cause, invece che spendere inutilmente soldi e risorse in politiche che non hanno altra utilità, se non la propaganda elettorale.
Enrico Proserpio