di Abbatino
Abbiamo capito da tempo che la strada dei vaccini è ancora lunga. I lunghi stop, poi l’assenza di dosi. La lunghezza nel reperirne e nel somministrare a chi ha diritto stanno palesando l’inadeguatezza di un sistema che ha retto il colpo barcollando, ma che rischia di capitolare se i numeri italiani dei contagi non tornano sotto controllo come in alcune zone d’Europa. Certo è che l’imbarazzo di Draghi è evidente: un errore macroscopico confermare lo stesso ministro e, più o meno, il modus operandi del vecchio governo. Il generale Figliuolo sta provando ad imprimere accelerazioni che difettano però della materia prima, cioè i vaccini. Siamo indietro su quello, ma non è tutto. Legare le riaperture ai vaccini sarebbe una manganellata in testa al governo stesso, che sarebbe ritenuto responsabile non solo sul fronte sanitario ma anche su quello economico. Il debito pubblico al 160% nel rapporto deficit – pil testimonia che il tracollo se non è adesso sanitario, sarà domani economico; e aspettare l’immunità di gregge per riaprire non è digeribile per nessuno, nemmeno per quelli che lo stipendio fisso lo vedono nel conto corrente a fine mese.
Quindi, se in settimana qualche manganello di troppo c’è stato sulla testa di qualche ristoratore, non è lontano il caso che a lunga andare, se non riapriamo subito in sicurezza le attività, qualche manganellata arriverà sul capo del governo. Quando arriva il colpo fa male, può fare un livido, ma può anche far barcollare chi lo prende. Se non si programmano date certe per le riaperture, con altrettanto protocolli certi da rispettare alla lettera, il rischio è che il governo dei “migliori” si trovi senza ossigeno prima di quanto si pensi. Perché una manganellata fa sempre molto male, ma molto di più se nel mezzo c’è la politica.