di Stefano Sannino
Il 29 Agosto del 2016 compare, per la prima volta nel campo della letteratura ecologica e scientifica, il termine “Antropocene” all’interno di un articolo chiamato The Anthropocene Epoch: scientists declare dawn of non human-influenced age.
Da quel momento, il termine Antropocene è stato preso in esame da scienziati, storici e geologi come possibile parola per indicare il periodo storico che, esattamente come tutte le altre ere geologiche, ha visto l’emersione dell’influenza dell’uomo sull’ambiente.
Sebbene la volontà di svariati studiosi fosse quella di adottare questo neologismo al pari di altri termini indicanti ere geologiche precedenti, nessuno è ancora riuscito a portare evidenze scientifiche a favore dell’esistenza di questa “nuova era” né, ancora, la comunità scientifica è riuscita ad accordarsi sull’anno di inizio della medesima. Se alcuni infatti ritennero opportuno segnare il 1950, con l’avvento degli esperimenti nucleari nell’atollo di Bikini e con l’inizio dell’inquinamento chimico, come segno inequivocabile dell’inizio dell’Antropocene, altri scienziati hanno ritenuto che questo periodo dovesse invece essere fatto cominciare nel 1784 con l’invenzione del motore a vapore. Una terza fascia di scienziati si è spinta ancora oltre, sostenendo che l’inizio dell’Antropocene e dunque dell’influenza dell’uomo sulla natura dovesse essere fatta risalire all’invenzione dell’agricoltura.
Sebbene la comunità scientifica non si sia dunque ancora accordata in merito all’inizio di questa nuova epoca, né abbia ancora trovato prove a sostegno di una sua individuazione da un punto di vista geologico, questa è riuscita ad entrare nell’immaginario letterario e sociale portando ad una sua disamina da parte di molti accademici.
In particolare, la critica si è concentrata sul significato stesso di Antropocene che, come ci ricorda la stessa eco della parola, è strettamente collegato all’essere umano (anthropos, in greco).
Per molti, infatti, antropocene non è altro che la manifestazione del lato oscuro del progresso tecnologico che, incurante dell’ambiente e delle altre creature non-umane, pensa solo a perpetrare se stesso. Il progresso, che tanto ha facilitato la nostra esistenza, si è rivelato dunque -secondo gli ecocritici- uno strumento di servilismo e schiavitù, con il quale l’essere umano non ha solo modificato irreversibilmente la natura, ma ha anche sfruttato e approfittato degli altri esseri viventi.
Nonostante però il concetto di Antropocene risulti particolarmente altisonante nel contesto della denuncia dell’inquinamento e dell’impronta ecologica umana, è evidente che abbia delle problematiche intrinseche nella sua definizione. Queste difficoltà semantiche sono state portate alla luce dal lavoro di Jason W. Moore storico dell’ambiente, che ha proposto la sostituzione della parola Antropocene con la meno complessa “Capitalocene”. L’osservazione di Moore parte dal fatto che non si può ritenere ogni essere umano parimenti responsabile dell’inquinamento e dei disastri ambientali prodotti dal progresso tecnologico della specie. Questo significa che, adottando il termine Capitalocene, si escludono dalla responsabilizzazione della tragedia ambientale non solo tutte quelle culture che non hanno effettivamente sfruttato le risorse del pianeta, ma anche i singoli individui che, in fin dei conti, non sono responsabili di ciò che sta accadendo al mondo.
Qualunque sia la definizione di Antropocene o Capitalocene, è però innegabile che ambedue queste definizioni portino con sé dei risvolti positivi per l’essere umano: entrambe queste parole individuano infatti una strettissima relazione tra essere umano ed ambiente, inducendo ad una sorta di responsabilizzazione del primo rispetto al secondo. In poche parole, l’uomo dell’Antropocene non può più comportarsi come il padrone che sfrutta le bestie, ma si sente invece in qualche modo responsabile non solo dello stato di salute dei non-umani (animali e piante), ma anche dell’ecosistema Terra in cui tutti noi viviamo. Potrebbe dunque essere vero che l’Antropocene non abbia ancora oggi una sostanza scientifica o storica, ma è indubbiamente vero che questo concetto, qualora impiegato dalla società e dal mondo accademico, potrebbe risultare particolarmente utile nel recuperare e ricostruire l’antichissima ed arcaica relazione che ci lega al pianeta che abitiamo.