di Stefano Sannino
Tutti noi conosciamo il movimento anarchico come frutto della ribellione sociale che ha caratterizzato e contraddistinto gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ma pochissimi comprendono pienamente le ragioni e i connotati di questo movimento culturale oltre che politico.
L’anarchismo sostiene una situazione di apolidia, ovverosia di mancanza completa dello Stato come istituzione oppressiva che sistematicamente sottomette una classe sociale piuttosto che un’altra. L’individualismo radicale, il rifiuto dell’economia capitalistica a vantaggio di un’economia fondata sulla cooperazione, organizzata in forme mutualistiche o comunistiche sono alcuni aspetti di questo pensiero.
Sebbene l’anarchismo avesse una propria storia già dall’antichità, è solo nel XIX secolo – con pensatori come Pierre-Joseph Proudhon e Michail Aleksandrovič Bakunin – che esso guadagna il favore delle masse e diventa un movimento di rivalsa sociale, oltre che di orientamento politico. Furono proprio Proudhon e Bakunin a delineare nei loro scritti i cardini dell’anarchismo moderno e a predire con una certa precisione ciò che per noi – nella nostra società moderna – è assolutamente normale: istruzione gratuita e statalizzata per tutti, incentivi economici statali alle donne in maternità, pari istruzione di base scientifica ai figli di ogni classe sociale ed interruzione delle esenzioni fiscali concesse alle confessioni religiose presenti sui territori statali.
Tutte queste esigenze sociali nascono quindi con l’anarchismo, dal momento che esso non è – come si credeva negli anni Sessanta – un semplice strumento per abbattere il governo e per ribellarsi al potere, ma anzi è un movimento culturale e sociale che trae la sua origine dalla profonda esigenza di uguaglianza e di libertà, ma sopra ogni altra cosa- e qui forse Bakunin e Proudhon si sbagliavano – dalla grande fiducia nei comportamenti umani. Come avvenne nel XIX secolo però, quando l’anarchismo fu schiacciato dal comunismo interventista e rivoluzionario di Marx, anche negli anni Sessanta e Settanta l’anarchismo non ha fatto la sua fortuna ed è stato invece rimpiazzato da uno statalismo ancora maggiore e ancora più invadente.
La storia ci insegna dunque, che per quanto l’anarchismo possa sedurre l’uomo in determinati momenti storici, non è capace di rispondere a quella profonda esigenza tutta umana di avere delle regole, delle leggi, dei governi e di rinunciare alla propria libertà assoluta per godere di una sicurezza maggiore.