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venerdì, 15 Novembre, 2024

ANALISI DELLA RIFORMA DEL CATASTO

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di Alessandro Giugni
Il Governo Draghi, essendosi impegnato per lunghi mesi unicamente su temi quali vaccini ed estensione del Green Pass a tutti i lavoratori, si trova oggi fortemente in ritardo rispetto al cronoprogramma di riforme legate al PNRR. Nella settimana corrente esso sarà, dunque, chiamato a lavorare su una delle questioni più spinose e complesse: la riforma del fisco.
Con riferimento al suddetto tema, a creare immediate divergenze tra i partiti che compongono la maggioranza è stata la riforma del catasto. Risulta di primaria importanza, ai fini della corretta comprensione dei problemi legati a questa riforma, chiarire alcune questioni preliminari.
In primis, con il termine catasto ci si riferisce all’inventario dei beni immobili presenti sul suolo della Repubblica e, nella configurazione attuale, esso si compone di due sub-sistemi: 1) il Catasto Terreni, nel quale sono elencati tutti i terreni di natura agricola o comunque inedificati; 2) il Catasto Edilizio Urbano, nel quale confluiscono tutte le costruzioni di natura civile, commerciale e industriale. L’ambito di competenza del Catasto Edilizio Urbano è stato esteso a tutte le costruzioni, sia urbane che rurali, con il Decreto-Legge 30 dicembre 1993, n.57, il quale ha introdotto il Catasto dei Fabbricati.
In secundis, è opportuno ricordare che, ad oggi, la rendita catastale degli immobili ad uso abitativo viene calcolata impiegando come parametro di riferimento i vani catastali, ossia i “locali utili effettivi” di un determinato immobile.
Il Governo Draghi, per venire incontro alle richieste di Bruxelles e dell’OCSE di adeguare il valore degli immobili a quello di mercato, ha predisposto un programma di riforma del catasto che, per le ragioni che vedremo tra proco, avranno come inevitabile conseguenza un vertiginoso incremento delle tasse sugli immobili.
<span;>La prima novità dovrebbe consistere nell’introduzione di un nuovo criterio di calcolo delle imposte da pagare sugli immobili: i vani catastali verranno abbandonati e, al loro posto, si farà riferimento al metro quadrato.
La seconda novità si sostanzierebbe nell’eliminazione di tutte le attuali categorie catastali in favore della creazione di due macro-gruppi: 1) le Unità Ordinarie, categoria di immobili con riferimento alla quale verrebbe utilizzato unicamente il metro quadrato come unità di misura della rendita catastale; 2) le Unità Speciali, categoria questa con riferimento alla quale, ai fini del calcolo della rendita catastale, verrebbero introdotti criteri ulteriori al metro quadrato (si è parlato, ad esempio, del riferimento alla localizzazione e ad altre caratteristiche edilizie dei beni in base alla loro destinazione catastale).
Da ultimo, il Governo punta all’superamento del divario di valore esistente tra immobili siti nei centri storici e quelli siti nelle periferie. Per fare ciò, al valore di reddito degli immobili verrebbe affiancato un nuovo parametro, ossia il valore medio di mercato
Laddove queste ultime due novità dovessero concretizzarsi, verrebbe altresì meno la distinzione tra case di lusso e case popolari. A quel punto, a concorrere alla definizione della rendita dovrebbero intervenire criteri quali l’affaccio, la tipologia edilizia e la natura del fabbricato, nonché le caratteristiche dell’area dove esso sorge e i servizi ivi disponibili.
Risulta evidente che una riforma di questo tipo finirebbe necessariamente per danneggiare ulteriormente il già stremato “ceto medio”, categoria questa nella quale rientrano i piccoli proprietari di immobili ad uso abitativo siti nelle grandi città. A titolo di esempio, se in una città come Milano le tasse sugli immobili fossero calcolate, come vorrebbe la riforma in discussione, sui valori di mercato, l’imponibile fiscale raddoppierebbe in periferia e quintuplicherebbe in centro.
Il Parlamento, non più tardi di due mesi or sono, nella stesura del “documento conclusivo sull’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef e altri aspetti del sistema tributario” si era già espresso contrariamente rispetto all’inclusione dell’intervento sul catasto tra le indicazioni indirizzate all’Esecutivo. Considerando che il predetto documento dovrebbe fungere da indirizzo politico al Governo, in un Paese democratico una simile presa di posizione dovrebbe essere ostativa a qualsiasi discussione in merito fino alla fine della legislatura.
Ma è, altresì, vero che, da due anni a questa parte, abbiamo assistito a un progressivo esautoramento del Parlamento e non dovrebbe stupirci se il “Governo dei Migliori” dovesse proseguire lungo la sua strada senza ascoltare l’organo che dovrebbe rappresentare i cittadini.

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