di Alessandro Giugni
Negli ultimi due appuntamenti di questa rubrica abbiamo, dapprima, ripercorso le tappe del conflitto tra Russia e Ucraina, approfondendone le cause storiche (clicca qui per leggere l’articolo in questione), dopodiché abbiamo svolto un’analisi approfondita delle caratteristiche della comunità ucraina presente in Italia al fine di meglio comprendere la sua rilevanza nel nostro Paese (clicca qui per leggere il suddetto articolo).
Considerando l’escalation in atto in queste ultime settimane tra i due Paesi suddetti, si ritiene più che mai opportuno offrire ai gentili lettori un’analisi dei cosiddetti “Accordi di Minsk” i quali, dal 2014 a oggi, hanno permesso di tenere sotterrata l’ascia di guerra.
A seguito del conflitto in Ucraina esploso nel 2014 (del quale abbiamo parlato nel primo articolo citato in apertura), il 6 giugno del medesimo anno tra François Hollande, Vladimir Putin, Angela Merkel e Petro Poroshenko (rispettivamente rappresentanti di Francia, Russia, Germania e Ucraina) si tenne un informale incontro in Normandia in occasione della ricorrenza del settantesimo anniversario del D-Day. Il vertice tenutosi a Château de Bénouville fece da apripista a una serie di meeting internazionali che portarono alla creazione di una struttura di dialogo con il fine ultimo di placare le tensioni sorte con lo scoppio del conflitto nel Donbass. Si arrivò, così, alla firma del Protocollo di Minsk I.
A causa della evidente debolezza dell’accordo suddetto, Francia e Germania, tramite il rafforzamento del loro diretto coinvolgimento nelle vicende che stavano minando la stabilità della vicina Ucraina, si fecero promotori della sottoscrizione di un ulteriore Protocollo (formalmente noto come Protocollo di Minsk II), noto a tutti come “Accordi di Minsk”, fatto questo avvenuto nel febbraio 2015. I firmatari di tali Accordi furono i rappresentanti di Ucraina, Russia, i leader separatisti e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (meglio conosciuta con l’acronimo Osce). In un secondo momento, poi, Minsk II è stato altresì oggetto di approvazione, tramite una risoluzione, da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Gli Accordi di Minsk fissavano una serie di obiettivi i quali, in questi anni, sono stati solo parzialmente raggiunti.
In primis, essi disponevano in maniera inequivocabile il cessate il fuoco tra ucraini e filorussi a partire dal 15 febbraio 2015. Il primo punto di questo accordo, però, è stato solo parzialmente rispettato, considerando che, dal 2015 a oggi, nella regione del Donbass si sono comunque verificati degli scontri a fuoco, a riprova del fatto che la situazione sul campo non è mai stata realmente sotto controllo.
In secundis, Minsk II prevedeva esplicitamente l’obbligo di ritirare qualsivoglia armamento pesante allo scopo di creare una zona di sicurezza tra entrambe le parti. Facendo leva su questo punto, il 3 settembre 2021 il governo di Kiev ha dichiarato di essersi svincolato unilateralmente dagli Accordi di Minsk a causa di una palese violazione perpetrata da Mosca a partire dal marzo 2021, quando la Russia ha avviato il trasferimento del proprio arsenale militare e delle proprie truppe lungo il confine orientale dell’Ucraina.
Gli altri punti dell’Accordo prevedevano il ripristino dei legami economici e sociali tra Russia e Ucraina, la ripresa del controllo sul confine con la Russia da parte del governo di Kiev, il ritiro di tutte le forze straniere e dei mercenari presenti sul territorio ucraino e l’attuazione di una riforma costituzionale volta a riconoscere maggiore autonomia ai territori facenti parte della regione del Donbass.
A fronte di quanto poc’anzi esposto, risulta evidente che gli Accordi di Minsk, benché non pienamente rispettati, e un contestuale ritorno a un percorso di natura negoziale costituiscano a oggi la più probabile via di uscita per fermare l’escalation in atto al confine russo-ucraino che rischia, oggi più che mai, di trascinare il mondo in una nuova guerra.