di Alessandro Giugni
Dopo l’annuncio di Emmanuel Macron della scorsa settimana, nel nostro Paese ha preso vita un serratissimo scontro tra i diversi partiti che compongono il Governo circa la necessità di imitare quanto deciso dal Presidente francese.
Scevri da qualsivoglia valutazione delle differenti posizioni partitiche, in questa sede si procederà all’analisi di alcune criticità dell’eventuale decisione di subordinare l’accesso a una serie di attività (bar, ristoranti, palestre, piscine etc.) al possesso del Green Pass.
In primis, risulta opportuno prendere in considerazione il dettato della Risoluzione 2361/2021 recentemente approvata dal Consiglio d’Europa contenete “indicazioni relative alla distribuzione e alla somministrazione dei vaccini contro il COVID-19”. Al punto 7.3.1 viene sancito che “la vaccinazione non è obbligatoria e nessuno è sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altro tipo per essere vaccinato se non lo desidera”, previsione questa rafforzata dal dettato del punto seguente, nel quale si specifica che gli Stati saranno tenuti a “garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato”. Il contenuto di questi due punti sarebbe già di per sé sufficiente a escludere che ai cittadini venisse preclusa la possibilità di accedere a luoghi di socialità (per loro natura non in grado di ospitare un numero elevatissimo di persone, a differenza di stadi e concerti) laddove sprovvisti di Green Pass, a maggior ragione in quanto il Consiglio d’Europa ha espressamente sancito che l’eventuale discriminazione non potrebbe essere prevista nemmeno per coloro i quali avessero scelto volontariamente di non vaccinarsi. A fronte di ciò, appaiono fuori luogo e discriminatorie decisioni come quella recentemente assunta dell’Università Statale di Milano con la quale si è stabilito che gli alloggi universitari saranno assegnati esclusivamente a coloro che sono in possesso del Green Pass e che avranno completato il ciclo vaccinale.
Sempre con riferimento alla predetta Risoluzione, dalla lettura dei punti 7.3.4 e 7.3.5 emerge chiaramente la necessità che gli Stati, da un lato, mettano a disposizione dei cittadini “informazioni trasparenti sulla sicurezza e i possibili effetti collaterali dei vaccini” e, dall’altro, comunichino “in modo trasparente il contenuto dei contratti con i produttori di vaccini”, permettendo così “il controllo parlamentare e pubblico”. A oggi, però, ambo tali obblighi non paiono essere rispettati.
La seconda criticità emerge confrontando i dati relativi al tasso di letalità per Covid-19 per fasce d’età con i dati dell’ISS inerenti i ricoveri e decessi, suddivisi per età, per Covid nel mese appena trascorso (tabella 7). Analizzando la predetta tabella 7, scopriamo che al 26 giugno tra gli under 40 sono stati registrati 7 morti di persone non vaccinate e 1 morte di una persona vaccinata. Dal rapporto dell’ISS emerge, di questi 8 morti, solo il 3% non aveva patologie pregresse, divenendo quindi evidente che la mortalità per gli under 40 sani rasenti una percentuale dello 0,24%. Situazione ben diversa per quanto riguarda gli over 60, fascia nella quale sono state registrate 305 morti di persone non vaccinate e 134 morti di persone vaccinate. In questa fascia d’età appare chiaro che la mortalità, a seguito della vaccinazione, si riduce al 5,6% e che, dunque, sia opportuno incentivare la vaccinazione per gli over 60. Con riferimento agli under 40, invece, la situazione è ben diversa. Sulla base dei dati riportati anche da Il Sole 24 Ore è possibile evincere che nella fascia 0-19 anni il tasso di mortalità è pari allo 0% e che nella fascia 20-39 anni è, invece, pari allo 0,1%. Considerando che, secondo l’ISS, più del 90% delle reazioni avverse sono state segnalate nella fascia 19-39, appare chiaro che il rapporto rischi-benefici della vaccinazione per individui sani appartenenti a queste categorie sia squilibrato verso i rischi.
Da ultimo, è necessario tenere conto delle tempistiche per il completamento del ciclo vaccinale, le quali finirebbero, laddove la decisione fosse assunta dall’oggi per il domani, per danneggiare tutti, comprendendo anche chi ha scelto di vaccinarsi e non ha ancora potuto completare l’iter per ragioni organizzative.
Appare, dunque, chiaro come la politica sia chiamata a compiere una profonda riflessione prima di assumere decisioni, da un lato, che potrebbero profondamente danneggiare una vastissima platea di individui, come i più giovani, che in questi 16 mesi hanno già pagato un prezzo molto alto (e che oggi rischierebbero di vedersi messi nuovamente ai margini della società a causa di scelte, come quelle relative alle tempistiche vaccinali, che li ha visti scivolare in fondo alla platea di vaccinabili, indipendenti dalla loro volontà), nonché, dall’altro lato, che potrebbero aprire gli spiragli per la creazione di discriminazioni pericolose per la tenuta dell’ordine democratico.