di Martina Grandori
Da ieri il Cdm ha deliberato lo stato di emergenza causa siccità per Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto e Piemonte. Sono previsti 10,9 milioni per Emilia Romagna, 4,2 milioni per il Friuli Venezia Giulia, 9 milioni per la Lombardia, 7,6 milioni per il Piemonte e 4,8 milioni Veneto. Una crisi idrica senza precedenti, chi dice la peggiore da 70 anni, chi la peggiore di sempre, chi la vede come l’inizio del vero, grande, tracollo ambientale. Una crisi idrica specchio culturale della società contemporanea, della classe politica incapace di gestire problematiche come quella di una rete idrica che è a dir poco obsoleta, fa acqua da tutte le parti. Il dato più preoccupante, ma che ormai è sulla bocca di tutti, riguarda le perdite delle reti di distribuzione: più del 40% sia per l’uso potabile che per quello irriguo. Ma la siccità è storia vecchia, già nel 2000 la Dichiarazione del millennio dell’Onu aveva l’obiettivo di dimezzare entro il 2015 la percentuale della popolazione mondiale che non ha accesso a un’acqua veramente potabile. L’Omc – Organizzazione mondiale del commercio – ha sempre suggerito di privatizzare la gestione delle reti di distribuzione, la concorrenza è un ottimo motivo per migliorarsi, trovare nuove soluzioni e ridurre gli sprechi, ottimizzare le risorse e magari iniziare anche ad avere dei profitti, in fondo l’uomo non smetterà mai di aver sete e di innaffiare il proprio orto. L’Italia è definita dai climatologi come un territorio hotspot dei cambiamenti climatici, rientra a pieno in quel 47% della popolazione che nel 2030 vivrà in perenne stress idrico, a dirlo le previsioni delle Nazioni Unite. Cosa possono fare gli italiani? L’allarme non è in pieno corso, da settimane si sta vivendo l’anticipo dello stress idrico pronosticato dalle nazioni Unite e non solo, il Pnrr ha stanziato 4,4 miliardi di investimenti per fronteggiare il cataclisma, peccato che ne servirebbero 26 di miliardi. Ma se la rete idrica – oggi in mano perlopiù a enti locali – fosse più performante, riconcepita, ricostruita, rivista nella sua gestione potrebbe, nel lungo termine, generare profitti. Serve un’Autorità nazionale unica per l’acqua, che abbia pieni poter e che possa agire da sola, ottimizzando tutto il sistema idrico. Partendo ad esempio dal riutilizzo dell’acqua piovana: ad ora solo l’11% viene convogliata in bacini o incanalata nella rete idrica, mancano le cisterne per la pioggia -che potrebbero essere utilizzate per l’agricoltura, assetata di acqua, o per supportare la prolificazione delle biodiversità, ossia quelle coltivazioni di vegetali locali e stagionali che vivono anche di acque reflue depurate. Senza dimenticare che una dieta alimentare più consapevole, dove il consumo di carni è limitato, aiuterebbe, il consumo di acqua per alimenti di origine animale è 10 volete superiore a quello vegetale.