di Gabriele Rizza
In Italia i referendum sono sempre stati un termometro sociale e politico per misurare con un Sì o con un No le metamorfosi della società italiana. Dal referendum sul divorzio del 1974, fino alla nuova bocciatura dell’energia nucleare nel 2011. Un voto non rappresenta mai una vera e propria cesura, semmai funge da orientamento per la cronistoria di un popolo e sicuramente per i suoi successivi sviluppi, ma il substrato profondo, mentale e spirituale, cambia pelle ben prima delle matite impugnate dai cittadini.
Alcune tradizioni e identità resistono un po’ di più di altre: è il caso delle nostre Istituzioni politiche, in particolare il Parlamento, composto da Camera e Sanato. Ogni tentativo di modificare le loro funzioni e la loro storicità, ha sempre avuto il benservito dagli italiani; se lo ricordano bene la Lega nel 2004, con la sconfitta della “devolution”, e Matteo Renzi nel 2016, con il fallimento dei suoi propositi di dar vita ad un Senato diverso. D’altro canto, il Parlamento è la coscienza storica, forse l’ultima rimasta, della Repubblica italiana: nasce come centro democratico, di massima rappresentatività delle minoranze politiche e di controllo delle maggioranze. Toccare il Parlamento sarebbe l’ammissione fatale di un’Italia che è cambiata nel guardare sé stessa, per questo il 20-21 settembre la vittoria del Sì o del No saranno una conferma o un cambio di rotta.
Che vinca il Sì o vinca il No, il substrato profondo, mentale e spirituale, ha già visto prendere da anni una direzione contraria alla storicità del Parlamento italiano. Un tempo la tutela della rappresentatività e il ruolo di appartenenza e di coesione ideale dei partiti, rendeva il Parlamento il luogo adatto per esprimere al meglio questa conformazione sociale, poi la fine della guerra fredda, tangentopoli e una società più individuale e spensierata, hanno rappresentato il crollo verticale del binomio Parlamento – Partiti. Sono emersi i leader, da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi, fino a Beppe Grillo e Matteo Salvini e di conseguenza la governabilità e il decisionismo, hanno invertito il binomio guida della politica italiana, che adesso è sempre più Leader– Governo. In questa ottica, il voto di domenica deve essere una partita riflessiva e ragionata con la politica (vera) e non con l’antipolitica. Forse, sotto sotto, gli italiani amano i leader e i governi (per poco) ma non gli darebbero mai le chiavi di casa, e la vittoria del Sì non è così scontata.