di Susanna Russo
Alberto Oliva è regista teatrale, scrittore e giornalista, diplomato alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, è stato assistente alla regia, fra gli altri, di Andrée Ruth Shammah, Carmelo Rifici, Antonio Syxty. Ha fondato l’Associazione culturale “I Demoni” con l’attore Mino Manni, con cui ha realizzato molti progetti teatrali, fra cui “Prospettiva Dostoevskij”. Nel 2012 ha vinto il Premio Internazionale Luigi Pirandello come migliore regista emergente, seguito nel 2014 dal College Musica della Biennale di Venezia. Tiene corsi e seminari di recitazione, regia e storia del teatro. Nel settembre 2020 ha pubblicato con Jaca Book il libro Il teatro ai tempi della peste, Modelli di rinascita.
Da mercoledì 24 Marzo condurrà il programma Made in Lombardia su Telelombardia.
Com’è nata l’idea di iniziare una rassegna di “lezioni” virtuali inerenti alla storia del teatro, e come si è evoluta nel corso dei mesi?
«Nasce tutto dalla mia passione per la storia del teatro. Quando l’anno scorso, alla prima chiusura dei teatri il 23 febbraio, eravamo tutti in preda allo sconforto, convinti di essere vittime di un’ingiustizia senza precedenti, io sono andato a documentarmi e ho scoperto che, in realtà, i teatri durante le pandemie del passato sono stati quasi sempre chiusi. E allora ho deciso di raccontarlo in diretta Facebook, per consolarci e tenerci compagnia. Quella diretta del 12 marzo 2020 ha avuto un seguito che non mi sarei mai aspettato e così ho deciso di inaugurare “i giovedì con Alberto”, tenendo compagnia alla mia platea social per tutto il lockdown. Da lì è nata anche una raccolta fondi su una piattaforma di crowdfunding per pubblicare un libro che fosse la raccolta di tutte quelle lezioni e anche di più. È stato un bellissimo modo per reinventarmi e da quell’esperienza sono nate collaborazioni molto preziose.»
Come vive il ruolo di regista per “salotti virtuali”? Crede che il teatro in streaming sia una valida alternativa?
«Il ruolo di regista, per come lo intendo io, ad ampio raggio, si sposa bene con i “salotti virtuali” proprio perché nella mia idea il regista è un creatore di gruppi, di mondi, di spazi di condivisione culturale. E questo si sposa molto bene con i social e con le piattaforme come Zoom o Teams, in cui si possono condividere contenuti, scambiare opinioni, tenere lezioni e mostrare video da commentare come se si fosse tutti insieme. Quindi, da questo punto di vista, nell’ultimo anno abbiamo fatto un grandissimo e prezioso passo avanti nella comunicazione e nella capacità di tenere un filo diretto e informale con gli spettatori. Per quanto riguarda gli spettacoli in streaming, invece, direi che, in quanto a qualità dell’offerta, siamo molto indietro e il pubblico non è ancora pronto. Ho fatto qualche esperimento in prima persona e ho assistito a quelli di altri, e devo ammettere che funzionano solo laddove esiste già una forte fidelizzazione di un pubblico dal vivo. Quindi immagino che lo streaming degli spettacoli teatrali sia una soluzione solo transitoria per resistere a questi tempi di chiusura delle sale. A parte per i grandi enti lirici, perché l’opera, da sempre, si può vedere molto bene anche in televisione ed è un linguaggio internazionale.»
Cosa rappresenta per lei, e cosa può rappresentare per i lettori, il suo ultimo libro “Il teatro ai tempi della peste”?
«Un viaggio dentro 2.500 anni di Storia del teatro, riletti con lo sguardo di questi tempi sospesi, alla scoperta delle infinite capacità del teatro di resistere alle chiusure, alle epidemie, agli anatemi religiosi… non ci ha mai fermato nessuno! Ogni volta il teatro è rinato più bello e più forte di prima! Direi quindi che la lettura si pone prima di tutto come antidepressivo, per dare una bella iniezione di fiducia a chi si sente un po’ scoraggiato e apocalittico. Un esempio su tutti: William Shakespeare ha attraversato tre epidemie di peste e febbre gialla che si sono abbattute su Londra alla fine del ‘500 e inizio ‘600. Eppure è diventato William Shakespeare! Dai, non abbiamo scuse!»
Dopo un anno di chiusura obbligata (fatta eccezione per qualche settimana a inizio stagione), si è parlato di riaprire i teatri a fine marzo, sempre a condizione che ci si trovi in zona gialla. Cosa pensa di questa proposta?
«Una colossale imbecillità pronunciata dal Ministro Franceschini, che da un anno non ne sta facendo una giusta. Lo dico senza mezze misure perché sono fermamente convinto che lo stallo depressivo in cui versa il settore culturale italiano è dovuto alla politica e non alla pandemia. La pandemia, ovviamente, è un gravissimo problema, ma potrebbe diventare un’opportunità se da parte della politica ci fosse una visione. Invece da un anno ci si barcamena fra ristori a pioggia che sono elemosine a fondo perduto che non aiutano la ripresa ma tappano dei buchi, e dichiarazioni assurde come la “Netflix della Cultura”, o questa cretinata della riapertura pronunciata negli stessi giorni in cui iniziava la terza ondata del covid. Incredibile. Fa capire perfettamente cosa si intende con l’espressione “oltre al danno la beffa”. Niente di più stupido si poteva pensare che una riapertura dei teatri subordinata al colore delle Regioni, di cui si ha notizia con tre giorni di anticipo. Il teatro si programma, si promuove, si prova e si vende con tempi molto lunghi, che non possono essere compressi in pochi giorni. Quindi meglio rimanere chiusi che essere umiliati e presi in giro.»
Professionalmente parlando, ha raggiunto nuove consapevolezze nell’ultimo anno?
«E’ stata una rivoluzione totale! Sono molto contento di tutto quello che mi è capitato e delle occasioni che ho colto per ripensare la mia attività di operatore della Cultura. Chi mi conosce sa bene quanto io sia allergico alle etichette e alla settorializzazione della cultura e delle sue competenze. E quindi non ho avuto problemi a sospendere le prove teatrali, che sono quasi impossibili in questo periodo, e mi sono buttato sulla scrittura di libri, sul progetto che porto avanti da tanto tempo dedicato alle botteghe storiche e alle eccellenze artigiane che fanno cultura attraverso i prodotti storici, e poi mi sono dedicato molto alle lezioni online, meravigliosa occasione per studiare e restituire agli iscritti il frutto dello studio e delle riflessioni che comporta. Inoltre, a fine marzo comincio una nuova avventura in televisione, con una trasmissione dedicata proprio alle Botteghe Storiche della Lombardia e alla cultura che si fa artigianato. Sono molto emozionato!»
Come sarà il teatro post Covid-19?
«Chi lo sa… ripeto, ci vuole una visione, e ce la deve mettere soprattutto la politica. Sicuramente il secondo stop di ottobre ci ha fatto compiere la svolta decisiva. Prima si pensava solo a riprogrammare ciò che era saltato, ormai si sta cominciando a pensare che non si ripartirà da dove ci eravamo fermati. E questo è molto positivo. Speriamo che ci sia la capacità da parte di chi fa teatro e di chi lo programma di intercettare veramente l’evoluzione della società e smetterla di cercare il nuovo per il nuovo, quella sterile e inutile ricerca dei nuovi linguaggi che non dicono niente. Il nuovo linguaggio ha senso se serve a dire cose nuove, non se dice sempre le stesse, ma pure peggio. Io spero con tutto il cuore di ricominciare da Fedor Dostoevskij, di cui l’11 novembre ricorreranno i 200 anni dalla nascita, è la Bibbia del mio percorso umano e teatrale. Da lì attingo le mie ispirazioni e da lì vorrei ricominciare, provando a declinare nel presente e nel futuro la sua visione lungimirante.»