di Mario Alberto Marchi
I nemici delle pmi e delle partite iva sono sempre troppi. In queste settimane, da affrontare non c’è solo la crisi da virus, ma anche le bizzarrie di quello stesso sistema, che dalla crisi dovrebbe aiutare ad uscire.
Cominciamo con la questione dei prestiti agevolati alla partite iva. Sulla carta non c’era di che lamentarsi: quando mai era capitato di riuscire a farsi prestare dalla banca 25.000 euro, in tre settimane, senza dover dare alcuna garanzia e restituendoli in sei anni a poco più dell’1% di interessi?
Certo non erano i sognati soldi paracadutati dallo Stato, ma un gran bell’aiuto, questo si’.
Tant’è che nell’arco di pochi giorni, alle banche sono arrivate milioni di richieste.
Bene, ossigeno per chi ne ha bisogno, ma – e qui sta la sorpresa – solo per chi è stato più veloce ad inviare la richiesta.
Sì, perché a guardare bene tra le pieghe dei conti, si scopre che la garanzia dello Stato su quei prestiti, copre un rapporto di 1 euro su 3. Chi si intende di finanza la chiama leva, ma al di la’ del nome si tratta di un calcolo elementare da capire. Per ogni euro garantito dallo Stato, le banche ne erogano solo 3, perché sia Stato che banche, riconoscono che si tratta di un’operazione con un margine di rischio di scoperto, altissima: insomma si prevede che saranno molti i beneficiari, sicuramente non in grado di restituire il finanziamento nei sei anni previsti.
Detto cosi’, sembra una fastidiosa dimostrazione di sfiducia, ma in realtà è la prova di quanto lo Stato stesso preveda una crisi molto più profonda e molto più lunga di quanto non ammetta.
Ma dove sta la brutta sorpresa? Semplice: con un rapporto di garanzia di 1/3 e uno stanziamento annunciato di 2,7 miliardi, di soldi ce ne sono appena per 300, al massimo 400.000 ,tra pmi e partite iva.
L’altro provvedimento d’impatto messo in campo dal Governo, è quello relativo alla cassa integrazione in deroga, anche per le aziende con pochissimi dipendenti.
Anche in questo caso, sulla carta si tratta di un’azione notevole: basti pensare a quante trattative e condizioni pesino normalmente ogni volta che si tratta di attribuire gli ammortizzatori sociali a realtà imprenditoriali in crisi.
Ma anche qui si si è rivelata un sorpresa scomoda. Gli imprenditori che tempestivamente hanno inoltrato domanda e se la sono vista accogliere, dopo qualche giorno hanno trovato nella posta una pec dell’INPS, nella quale si chiariva che la cassa integrazione doveva essere anticipata dagli imprenditori stessi ( insomma avrebbero continuato a stipendiare i dipendenti, pur lasciandoli a casa) e il rimborso non sarebbe stato né rapido, né in denaro sonante, ma rateizzato e scalandolo dai futuri contributi.
Un po’ come se l’INPS si facesse prestare i soldi da chi dovrebbe aiutare , per poi renderli facendo sconti. Intendiamoci, si tratta di una pratica legale e codificata, ma in questo frangente davvero poco opportuna e soprattutto fatta passare sotto silenzio.
Insomma, buone intenzioni e provvedimenti d’emergenza,ma anche confusione e pasticci.
E infine l’immancabile, fastidiosa presenza della più stupida burocrazia.
In queste settimane una delle poche attività che resistono è il commercio on-line, soprattutto di prodotti alimentari. Bene, si moltiplicano le segnalazioni di ingiunzioni da parte del ministero della Salute di adeguarsi scrupolosamente a formalità, come le minuziose indicazioni sulle etichette: lettere inviate- si badi bene- non ad aziende sorte sul momento, ma attive da anni e alla quali, fino a ieri ,non era stato contestato nulla. Proprio un bel tempismo, non c’è che dire.