Il concetto di bellezza è in continuo divenire, lo è storicamente e lo è nell’attualità, sotto i nostri occhi, obbedendo ad imperativi della moda, del costume, delle abitudini, avendo come punto di riferimento, l’armonia, le proporzioni, il ritmo, interpretati in maniera tanto estensiva, da essere a volte non distinguibili, in alcuni momenti specifici, quando sono andati in onda idealità estremizzanti e contestatrici, come in certe pagliacciate incipriate settecentesche e nei mascheroni di ombretti e ciglia lunghe degli anni Settanta, del secolo scorso. Ed è proprio nel Novecento che si è assistito ad un vorticoso mutamento del gusto, tanto d’avere travolto lo stesso concetto unitario di secolo ed anche quello di decennio, che non connota più niente, tante sono le peculiarità che si vanno accumulando, strattonando di qua e di là la figura femminile, che della bellezza è il punto di riferimento.
Negli ultimi tempi, è intervenuta con grande prepotenza, la chirurgia plastica, modificando le connotazioni di volti, seni, fianchi, mani, piedi, cosce, contraddicendo quelli che prima erano i lasciti del tempo, in primis, quello dell’invecchiamento, che aveva il punto eclatante nei capelli grigi, ormai dimenticati nelle donne e in regresso pure negli uomini. Siamo in piena era di manipolazione del corpo, che viene trasformato a seconda dei desideri del soggetto proponente, con l’unico limite nelle possibilità di spesa e nell’altezza su cui, ancora, non si è in grado di intervenire,
con grande cruccio per le troppo basse e per le troppo alte, che hanno il solo correttivo dei tacchi, che alcune riportano al minimo, altre al massimo, compromettendo le stesse possibilità di una camminatura decente.
La moda è l’oggi nella sua pienezza, nella sua assolutezza, con leggerezza e pesantezza insieme, roba da labirinto impazzito da rizoma permanente, nell’esasperazione pubblicitaria che si specchia nelle videocamere infinite, in specchi da tutte le parti, microspie, in uno sconvolgente spettacolo, in cui siamo in scena e spettatori nello stesso tempo e per esserne fuori, bisogna inventarsi una caverna antropologica, isolarsi dal mondo, non partecipare ai suoi riti, cosa difficilissima. D’altra parte, la contaminazione, oltre ad essere una condizione sociale è una forza vitale, perché ibridando, facendo dello scambio una realtà più che simbolica, regge lo spirito della moda, che è alienazione, ma anche uscita dal destino segnato, dall’immobilità sociale, si tratta di ubriacarsi, ma non sempre di vino, ma anche di poesia e di virtù. Nel vestimento, connesso intimamente con svestimento e travestimento, si gioca la teatralità dei rapporti sociali, che sono sempre una messa in scena in cui si recita la vita, le lusinghe, le passioni, le feste, i lutti, che nel suo palco trovano la vita stessa, nella sua continua trasformazione, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, in modo meccanico, automatico e solo il trucco e gli abiti ne sottolineano la reale differenza, nella tensione della costruzione del sè. L’abbiamo chiamata eleganza, che vuol dire scelta, capacità di selezionare il meglio, con sottigliezza o con eclatanza, in una escursione di mille e mille concavità e convessità, ora ad aggiungere ora a togliere, confermando momenti diversi della vita, in cui si consumano ruoli sociali diversi, che richiedono una cangiante disponibilità al movimento, alla rapidità, alla performatività, al relax, per ascendere ai momenti dello charme e della seduzione. La vertigine del lusso (dal latino luxus, abbondanza, eccesso). Il lusso è la polarità dialettica del semplice, quando si complica, si arricchisce, si modula e si rimodula, per dare la dimostrazione di potenza, di sfarzo, come manifestazione di un potere grande tanto grande, da potere essere considerato assoluto, da ogni altro potere e paragone.
Letizia Bonelli
Giornalista ed esperta di web reputation