di Susanna Russo
“Ognuno ha il diritto di essere chiamato come vuole nell’ambito della pluralità degli usi esistenti nella lingua italiana. Scegliendo la definizione “direttore”, Beatrice Venezi ha adoperato un maschile cosiddetto inclusivo o non marcato. Una soluzione tradizionale, ben nota alla lingua italiana, e che viene considerata tuttavia come una bestia nera da taluni, perché a loro giudizio non riconosce o occulta gli avanzamenti del dibattito di genere”.
Questa è la dichiarazione rilasciata da Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, in merito alle parole pronunciate dal direttore (o come alcuni preferiscono, “direttrice”) d’orchestra sul palco del Teatro Ariston giovedì sera: “per me quello che conta sono il talento e la preparazione con cui si svolge il proprio mestiere, ed il mio ha un nome preciso: direttore d’orchestra”. La professionista è stata sommersa più da critiche che da elogi, critiche provenienti soprattutto da altre donne, forse le stesse che s’appellano poi alla solidarietà femminile, critiche a cui lei ha risposto così: “non sento la necessità del femminile per sentirmi riconosciuta”.
Viene da chiedersi quale possa essere l’opinione delle donne che ieri, lunedì 8 Marzo, si sono riunite in Piazza Affari con il dito medio alzato e rivolto verso la Borsa. Hanno dichiarato anche loro che sia necessario definire le cose con il proprio nome, e che commentare il corpo di una donna, vada dritto sotto la definizione di “violenza”, non certo sotto quella di “complimento”. Si tratta quindi esclusivamente di desinenze, di parole, e di definizioni, o almeno così pare. Eppure non sono esattamente questioni di vocabolario, per quanto legittime, quelle che portarono ad istituire il giorno della Festa della Donna, che poi tutto dovrebbe essere, meno che una festa.
Una leggenda vuole che l’8 marzo del 1908, a New York, 129 operaie morirono in una strage avvenuta all’interno di una fabbrica di abbigliamento, a causa di un terribile incendio. Non esistono fonti certe a documentare questo avvenimento ma, in ogni caso, all’epoca nessuno si sarebbe messo a sindacare sul genere grammaticale della professione delle donne decedute, né se ne sarebbe fatta una questione di definizioni.
Erano donne, lo erano più di chiunque altro, lo sarebbero state anche se fossero state definite “operai”.
L’8 Marzo si ricordano le conquiste sociali, politiche ed economiche ottenute dalle donne nel corso di secoli, volte alla cessazione di disparità tra i sessi, per far sì che non si parli di donne e di uomini, ma prima di tutto di individui, di lavoratori soprattutto, al maschile sì, perché la lingua italiana vuole che se un gruppo di persone è composto da individui di entrambi i sessi, il nome che racchiude quella collettività, sia declinato al maschile, e non per discriminazione, ma per pura tradizione linguistica.