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giovedì, 19 Dicembre, 2024

La caduta dell’uomo: il punto di vista politeista

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di Stefano Sannino

<<[…] Il Padre stesso volle che fosse non facile la via del coltivare, e per primo ad arte fece dissodare i campi, rendendo acute le menti mortali con le preoccupazioni, né tollerò che il suo regno intorpidisse in un pesante letargo. […] Fu Lui che aggiunse ai neri serpenti il veleno mortale, e ordinò ai lupi di vivere di preda, e al mare di agitarsi, e scosse via il miele dalle foglie, e rimosse il fuoco, ed eliminò il vino che scorreva qua e là in rigagnoli […]>> – Virgilio, Georgiche I.

Questi i versi utilizzati da Virgilio, nelle sue celebri Georgiche, per descrivere la fine della cosiddetta “Età dell’Oro” o “Età Aurea”, un’epoca di perfezione e di pace, in cui l’uomo non necessitava di coltivare o lavorare la terra per cibarsi, né gli animali carnivori vivevano di predazione. Tutto, nella condizione dell’uomo in quest’epoca era pace e perfezione. Il collegamento con lo stato di Adam Kadmon nell’Eden è evidente: la coltivazione della Terra, la ferocia degli animali, il dolore del parto sono tutto frutto di una decisione di Dio (Giove, per i romani). Ma se nella concezione monoteista, questa “condanna” fu presa in seguito ad una colpa umana (la tentazione), nella concezione monoteista questo decadimento fa parte di un processo assolutamente naturale e ciclico, completamente indipendente dalle azioni umane.

Per comprendere meglio questa concezione, tanto diversa da quella a cui siamo abituati, ci viene in soccorso la religione induista, con il concetto di Manvantara e con quello di Yuga.

Con il termine Manvantara, si intende un intero ciclo di esistenza, suddivisibile in quattro età, dette Yuga che vengono poi, a loro volta, denominate in modo particolare a seconda delle caratteristiche loro proprie. I quattro Yuga che formano un Manvantara hanno durata decrescente: il Krita-Yuga (o Satya-Yuga) è l’età dell’oro, la cui durata è superiore a quella delle età che seguono, abbiamo poi in ordine: il Trêta-Yuga, il Dwâpara-Yuga ed infine il Kali-Yuga, l’epoca in cui – secondo alcuni calcoli – ci troveremmo ora, caratterizzata da distruzione e malattie, da sofferenza e dolore.

Quello che è interessante notare è che tanto nella religione latina seguita da Virgilio, quanto in quella Induista, l’età della sofferenza e della condanna è sempre seguita da una nuova Età dell’Oro, in cui la comunione tra divino ed umano viene restaurata e ristabilita.

Come evidente dall’articolo precedente, nella visione monoteista, questo ritorno ad un’Età Aurea è completamente assente, principalmente perché i paradigmi temporali utilizzati sono opposti: da un lato, nel caso pagano/politeista, il Tempo viene percepito come ciclico e quindi come una “eterna ripetizione dell’uguale” (se volessimo usare una terminologia propria d Nietzsche), mentre nel caso monoteista il Tempo è lineare, rappresentato come una linea retta tendente al cielo, composta di fatti che si susseguono in modo preciso ed ordinato.

Ora, questi due punti di vista potrebbe sembrare opposti ma, come ci dice Dominque Viseux nel suo celebre studio sull’Apocalisse di San Giovanni, non lo sono affatto: la concezione lineare rappresenterebbe soltanto una frammentazione infinitesimale di quella circolare, uno sguardo – quindi – su un pezzo di Tempo molto breve e piccolo.

Questa teoria, parrebbe essere avvallata dal fatto che, leggendo l’Apocalisse di San Giovanni, pare che lo sguardo dello scrittore abbia adottato una concezione temporale circolare, estendendo all’infinita potenza la durata della narrazione: cosa che, al contrario, è totalmente assente nella Genesi o negli scritti Ebraici.

Questa piccola differenza, fa però cambiare tutto: se è vero quindi che la concezione temporale lineare (espressa dal concetto di caduta dell’Uomo nei monoteismi) sia una frammentazione infinitesimale della concezione temporale circolare (espressa dai politeismi ed anche dall’Apocalisse di San Giovanni) allora è plausibile ammettere che, seppur in scala diversa, un ritorno all’Età dell’Oro non sia da escludersi nemmeno delle religioni monoteiste, forse in seguito a quella stessa Apocalisse, scritta da Giovanni.

Ancora una volta quindi, mantenendo uno sguardo distante e totalizzante, parrebbe che non vi siano particolari differenze di concezione dello stato umano attuale, se non appunto l’introduzione prettamente monoteista del concetto di colpa: l’uomo decade, per sua esclusiva colpa; concezione che invece nei politeismi è completamente assente: gli stati del tempo e le ere si susseguono in modo assolutamente naturale, senza alcuno scopo escatologico.

 

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