di Martina Grandori
È iniziata da qualche settimana la raccolta delle olive, complice un settembre decisamente caldo e per gli appassionati è già il momento d’oro per assaggiare l’olio novello, che rilascia quell’inequivocabile pizzicorio sul palato, l’olio nuovo dal gusto quasi amarognolo perché appena spremuto.
Di solito questo appuntamento importantissimo per contadini e tutto l’indotto del settore olivicolo si svolge fra metà ottobre e la fine di novembre, quest’anno già a settembre si è iniziata la raccolta in tutta Italia, il caldo ha favorito la maturazione precoce delle olive, soprattutto al Sud. Non un buon presagio, però.
Il 2020 si prospetta poco fortunato anche per il mercato dell’olio: oltre al calo delle vendite a causa del Covid, la produzione è inferiore, secondo i dati di Coldiretti, un calo del 22% causato dal clima instabile (piogge torrenziali alternate a periodi di siccità) che ha colpito maggiormente il Sud, senza dimenticare il danno della Xylella in Puglia, il batterio che per 2 anni ha gambizzato la produzione di olio in Salento e solo ora – grazie agli uliveti di varietà Fs-17 Favolosa – si riesce a produrne un po’.
Quest’anno si produrranno circa 287 milioni di chili rispetto ai 366 milioni del 2019. La raccolta delle olive, oltre ad essere un folclore dell’autunno da sempre, è anche un importante filiera economica ed occupazionale che coinvolge 400 mila aziende su tutto il territorio italiano e il Belpaese è in Europa quello che produce maggio olii extravergine a denominazione Europa (43 Dop e 4 Igp), con un patrimonio di 250 milioni di alberi e 533 varietà di olive.
Nonostante questo primato europeo, il mercato olivicolo è, come già detto all’inizio, in crisi; la chiusura di moltissimi ristoranti, bar, la totale mancanza di socialità ha congelato le vendite, i prezzi sono pagati ai produttori di olive crollati del 44% e a completare il quadro grigio, la diffusione sul mercato di etichette poco trasparenti sull’origine della materia prima, dagli indici di traffic light inglese al nutriscore francese che, paradossalmente, finiscono per discriminare alimenti millenari e sanissimo com’è l’olio, solo perché è un alimento ricco di acidi grassi.
Un’ennesima dimostrazione di come l’ignoranza faccia da padrona. Per uscire da questo impasse, l’olio italiano deve essere promosso. Deve essere promossa la sua eccellenza, la sua importanza nella dieta quotidiana, la sua storia che ha influenzato tutto il mondo gastronomico.
La dieta mediterranea non a caso è diventata un bene protetto e inserito nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità nel 2010 dall’UNESCO.