di Alessandro Giugni
Martedì 11 settembre 2001, New York. È una mattina di sole come tante quando, alle 8:46, il volo American Airlines 11, dirottato da 5 terroristi di Al-Qāʿida, si schianta contro la facciata settentrionale della Torre Nord del World Trade Center. Un boato terrificante copre ogni altro rumore, il cielo azzurro viene oscurato da una fitta coltre di fumo. 17 minuti dopo, mentre i newyorkesi, ancora frastornati, cercavano di capire cosa fosse successo, un secondo aereo, il volo American Airlines 175, impatta contro la facciata meridionale della Torre Sud. I cittadini di New York, immersi in quegli stessi istanti nella vita di tutti i giorni, restano paralizzati di fronte all’orrore di ciò che sta accadendo, sospendono ogni attività per chiamare un amico, la fidanzata, il marito o i figli nel disperato tentativo di sincerarsi delle condizioni delle persone amate. Alcuni cercano di raggiungere il sito del WTC per documentare l’evento più sconvolgente della storia d’America. Mai come quel giorno, infatti, per una serie di coincidenze, a New York era presente un numero eccezionale di fotografi di fama internazionale: David Alan Harvey, Susan Meiselas, Thomas Hoepker, Gilles Peress, Larry Towell, Steve McCurry, Alex Webb. Le loro fotografie, che si presentano all’osservatore non come semplici documenti di un evento storico, bensì come una carezza nei confronti della vita di tutte le persone coinvolte direttamente o indirettamente da quel dramma, sono poi divenute parte del libro New York, September 11 by Magnum Photographers. Una tra tutte, realizzata da Webb, riesce a trascendere il proprio ruolo di pura e semplice fotografia, divenendo un messaggio di speranza per tutta l’umanità.
Jenna Piccirillo, allora 31enne, laureata in design d’interni al Pratt Institute di Brooklyn e residente a Brooklyn Heights, stava facendo colazione nella rosticceria sotto casa quando il frastuono del primo schianto squarciò il silenzio del quartiere. Immediatamente la donna prese in braccio il figlio di soli 3 mesi, Vaughan, e salì sul tetto dell’edifico insieme a molti altri inquilini dello stabile per vedere cosa stesse succedendo. In quegli stessi concitati istanti Alex Webb e sua moglie Rebecca, allora residenti a Park Slope, stavano facendo la spesa. Dopo aver sentito dei passanti parlare di un aereo che aveva colpito il WTC, corsero a casa, imbracciarono le fotocamere e decisero di correre sul luogo dello schianto a bordo di un’auto noleggiata. Trovando il ponte di Brooklyn chiuso, decisero di parcheggiare e proseguire a piedi. Pochi metri e il destino decise di far incrociare la vita dei due fotografi con quella di Jenna: una donna sbucò dalla porta di ingresso del condominio della Piccirillo e, vedendo le fotocamere, chiese ai due coniugi se sarebbero stati interessati a fotografare la città dall’alto.
Arrivati sul tetto dell’edificio, Webb rimase immediatamente colpito dalla scena che si palesò di fronte ai suoi occhi, alzò la fotocamera e impressionò il primo fotogramma di quel giorno. La fotografia che ne risultò è a tutti gli effetti una delle più significative della storia del fotogiornalismo. Due sono le scene che la compongono: sullo sfondo un’enorme coltre di fumo che avvolge i palazzi di Manhattan; in primo piano una madre, Jenna, intenta a giocare con il figlioletto, quasi a volerlo distrarre e tenere al sicuro dall’orrore in atto, una metafora del grembo materno che protegge il feto dal mondo esterno.
Ecco che si palesa un altro, immenso, potere della fotografia: essa è in grado di mostrare come la vita abbia i suoi scopi e come essi trascendano da qualsiasi schema. E la storia dell’umanità diviene una registrazione, seppur imperfetta, della continuità della vita di fronte alla morte.