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giovedì, 21 Novembre, 2024

L'INSORGENZA DEL CIRCEO. 1798-1799

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Fra i vari eventi spesso trascurati a scuola o comunque trattati in maniera superficiale, vittime di una visione della storia come evoluzione lineare verso la modernità, c’è quello delle cosiddette insorgenze antifrancesi. Con il termine “insorgenza” si vuole descrivere quei fenomeni spontanei di ribellione alle autorità contrapponendosi a quello di rivolta che presuppone un’organizzazione e un intento politico.

Con la rivoluzione francese si apre in maniera violenta una nuova pagina della storia che porterà alla modernità. Con il prevalere nei rivoluzionari delle istanze giacobine, prevalse l’idea di voler cambiare il mondo in maniera repentina e per far questo non risparmiarono l’uso della violenza. I rivoluzionari attaccavano i simboli di ciò che consideravano antico e frutto di superstizione, cercando di distruggere le tradizioni religiose suscitando chiare antipatie da parte del popolo. Basti pensare all’idea, se si riflette, piuttosto ridicola, di cambiare il calendario o l’innalzamento degli alberi della libertà che in qualche modo venivano a sostituire il crocefisso e ad istituire una sorta di religione civile in cui la fede non è più rivolta a Dio, ma allo Stato. Tra l’altro, le cerimonie legate al’albero della libertà non potevano non richiamare agli occhi di tanti uomini di chiesa usanze pagane morte da secoli.

L’estremismo di alcune correnti rivoluzionarie e la naturale ostilità dei regnanti europei portarono la Francia rivoluzionaria ad impegnarsi in guerre su più fronti tra cui l’Italia. Qui si vedrà in azione un giovane Napoleone che avrà modo di distinguersi e iniziare la sua folgorante ascesa. Nei territori occupati venivano create delle repubbliche satelliti di quella francese e ad essa assoggettata. Le novelle repubbliche ricalcavano la costituzione e gli assetti istituzionali francesi, costituendo spesso un esperimento avulso dal contesto socio-economico dove veniva tentato. Come in Francia, anche nei rivoluzionari italiani prevalse l’idea di forzare la mano e di fare tabula rasa delle vecchie istituzioni, per poter imporre la loro visione al resto della popolazione causando ovvie reazioni di rigetto.

Fra le varie insorgenze che colpirono in quegli anni di dominio francese, ci fu quella che coinvolse il Circeo, uno degli otto dipartimenti nei quali fu divisa la Repubblica Romana, venuta a sostituire lo Stato Pontificio dopo l’invasione francese. Ogni dipartimento era a sua volta diviso in cantoni, che come abitudine degli innovatori non teneva in nessun conto le vecchie suddivisioni territoriali-amministrative. Solo le città con più di 10000 abitanti mantennero la loro municipalità e nel Circeo non esistendo cittadine così grandi, non fu conservato nessun comune.Come in Vandea gli spunti per insorgere furono gli stessi: l’attacco alla religione, la leva obbligatoria, la cancellazione di antichi diritti e un prelievo di risorse ai limiti della sopravvivenza tramite tassazione e requisizioni.

Lo scopo dell’occupazioni militari francesi, infatti, era recuperare risorse per salvare dalla bancarotta la neonata Repubblica francese. Come era solito per gli eserciti dell’epoca, il sostentamento delle truppe avveniva tramite requisizioni sul territorio occupato o di passaggio. Le truppe francesi oltre a provvedere al proprio sostentamento, dovevano provvedersi di ulteriori risorse da inviare in Francia per sostenere le guerre della Repubblica. Questo imponeva un’esosità dei prelievi, che in zone povere come il Circeo comportava portare sulla soglia della sopravvivenza la popolazione.

Fu istituita una tassa sugli immobili che colpiva con una percentuale maggiore i beni della chiesa e venivano effettuati continui prelievi di cibo per le truppe e di foraggio per gli animali. Si procedette anche a requisizioni dei beni ecclesiastici compresi gli arredi sacri. Durante il saccheggio di Amàndola, in seguito all’insorgenza in Umbria, le truppe francesi arrivarono a spogliare il corpo incorrotto del beato Antonio Migliorati. Ulteriore aggravio per le esangui casse della Repubblica Romana fu il prestito di due milioni di scudi imposto dagli occupanti francesi, somma ripartita per dipartimento, così che ogni amministrazione locale ne doveva 250.000. Altro notevole disagio per la popolazione fu la gestione della moneta, che i francesi sempre alla ricerca di fondi, attuarono con decisioni arbitrarie, a volte contrastanti, di emissione di nuova cartamoneta e svalutazioni, che causarono un rincaro dei prezzi. Una situazione insostenibile per una popolazione.

Alle privazioni materiali, bisogna aggiungere la coscrizione obbligatoria, che quando la risorsa principale erano le braccia degli uomini comportava un’ulteriore danno economico per le famiglie. In aggiunta a tutto ciò, si attuava un attacco culturale tendente a fare piazza pulita di tradizioni e antiche istituzioni per far sì che l’individuo fosse solo di fronte alla stato. Quelli che potevano essere residui di diritto medievale, come per esempio le confraternite, erano occasioni di solidarietà fra i membri e fornivano una serie di servizi che adesso chiameremmo di welfare state ed infine avevano anche un patrimonio non indifferente frutto di donazioni accumulatesi nei secoli. I cittadini della Repubblica Romana, come tutti quelli che soggiacevano all’occupazione francese, si trovarono spogliati dei loro beni e dei loro riferimenti sociali e culturali, così che l’individuo isolato poteva essere riplasmato dai rivoluzionari per fargli apprezzare i frutti del progresso. Fu proibita persino l’esposizione delle immagini sacre che vennero sostituite con i simboli repubblicani. L’attacco alle tradizioni religiose oltre ad essere in ogni caso intollerabile, è in qualche modo assurdo per chi parlava di tolleranza e fratellanza.

Fra i vari “progressi” imposti alla popolazione ci fu la proibizione delle cerimonie religiose in pubblico inclusi i funerali. Si può immaginare come un simile provvedimento possa essere stato odioso, abolendo  processioni e feste religiose che duravano da secoli; la stessa proibizione dei funerali, che al contrario di oggi che sono un fenomeno privato, rivestivano un ruolo sociale, creava malumori piuttosto forti in popolazioni già offese da angherie materiali. Oltre a ciò, che agli occhi di noi moderni, meno abituati all’idea di una religione più partecipata può sembrare tollerabile, c’è un risvolto pratico sostanziale: come già detto, molte istituzioni religiose erogavano tutti una serie di servizi che d’un tratto sparivano.

Perfino alcuni amministratori repubblicani periferici ebbero da lamentarsi del governo della Repubblica Romana, rammentando che la vecchia amministrazione pontifica in casi di emergenze veniva in soccorso delle popolazioni indigenti e non le opprimeva sempre più con continue richieste di contribuzioni. Queste lamentele di chi, comunque militava dalla stessa parte, può far intuire ciò che subì la popolazione sotto le truppe francesi. Non dimentichiamo, che nella stessa Francia per il dipartimento della Vandea, che insorse contro la Repubblica, si parla di vero e proprio genocidio con uccisioni di massa ed episodi raccapriccianti che sembrano presagire gli orrori novecenteschi.

Particolare curioso, che non aggiunge nulla allo svolgimento dei fatti, ma che dà un’idea del clima dell’epoca, sono le risposte del governo alle lamentele degli incaricati periferici. Innanzitutto, a chi si opponeva ai provvedimenti emanati o levava protesta, spesso si rispondeva con la rimozione dall’incarico o minacciando sanzioni. Poi quello che colpisce, sono le risposte, che oltre alla scontata promessa di risolvere il problema a cui non seguiva nessun atto concreto, ricordavano che quello era il tempo della felicità e della ragione. La gente doveva essere felice perché era giunta la libertà e la soppressione delle antiche usanze. Un furore ideologico che mistificava la realtà o che non voleva vederla, come se la felicità si potesse imporre con un decreto o potesse cambiare la sostanza delle cose per popolazioni nell’indigenza, se le tasse fossero riscosse da un emissario pontificio o da un illuminato giacobino.

In qualche modo è singolare come vengono raccontati simili episodi nei manuali scolastici. Sono sempre i contadini ignoranti che non capiscono le idee progressiste dei giacobini, quando aldilà della guerra culturale, le popolazioni subirono requisizioni che ne minarono la sopravvivenza. Fra le varie novità ci fu anche l’abolizione delle vicinie, considerate un residuo del diritto medievale. Le vicinie sono proprietà appartenenti ad una comunità o ad un insieme di famiglie, una forma di proprietà a metà fra privato e pubblico il cui uso è regolato da consuetudini e a volte da una assemblea. Per esempio, era possibile su queste terre “comuni” avere il diritto di fare legna, costituendo una fonte di reddito per chi non aveva null’altro se non l’appartenenza alla comunità. Altro esempio sono i terreni per il pascolo, che venivano usati dai membri della comunità secondo consuetudini. La soppressione di quei diritti legati alla proprietà risalenti al medioevo, insieme alla nascita dello stato moderno avranno come conseguenza che:

“… il diritto di proprietà sarà sempre più svuotato di ogni capacità di creare comunità […] perdendo la propria capacità di fare società e favorire le relazioni[1].

Quelle che spesso vengono presentate come innovazioni, come progresso, come eliminazione di residui medievali o di privilegi ingiustificati, di fatto, finivano per colpire i ceti meno abbienti a cui venivano sottratte risorse per il sostentamento, che poi venivano incamerate dallo stato e alienate non sempre in modo chiaro, lasciando le popolazioni nella miseria più assoluta. In aggravio alla sottrazione di risorse, si lasciava l’individuo in balia del potere politico non potendo più trovare rifugio in istituzioni diverse dallo stato. Fra l’individuo e lo stato non esisteva più nulla e l’individuo diveniva vittima di un potere a cui non poteva più sottrarsi, al contrario dell’ordinamento policentrico medievale dove coesistevano più autorità, a volte anche in conflitto fra di loro, ma che permettevano all’individuo di non essere soggetto a un potere impersonale e onnicomprensivo.Prima che scoppiassero i disordini nel Circeo, la Repubblica era stata scossa da altre violenze, sia nella capitale dove alcuni quartieri di Roma si erano sollevati nel febbraio del 1798, sia in Umbria dove si nota un capo insorgenza donna, Anna Allegri.

L’insorgenza nel dipartimento del Circeo nacque con una serie di rivolte spontanee, che quasi come un rituale prevedevano l’abbattimento dell’albero della libertà a cui seguivano sovente processioni di espiazione. La rivolta inizia a metà luglio con il primo episodio del 16 luglio a Frosinone, poi il 25 ad Alatri per proseguire il 26 a Ferentino, il 27 a Veroli e Trisolti e così via per tutto il dipartimento. A Pratica, gli insorgenti si eressero a difesa del convento dei passionisti di Santa Maria di Comiano minacciato dai locali giacobini, nonostante che qualcuno di questi ultimi fosse stato salvato da morte sicura proprio dai frati.

Dopo una prima fase di spontaneismo, l’insorgenza del Circeo cercò di evolvere in una forma organizzata per quanto era possibile. Già il 27 luglio, a pochi giorni dall’inizio delle violenze, si ebbe un primo tentativo di coordinamento quando 800 insorgenti di Alatri, si unirono con quelli di Veroli e di Ferentino per cercare di occupare Anagni. A guidare gli uomini di Alatri erano quattro cappellani.

Subito dopo i vari gruppi riuscirono ad organizzarsi formando l’Armata Cattolica che aveva una vera e propria gerarchia militare. Rapporti di parentela e di amicizia permisero che episodi spontanei potessero evolversi in qualcosa di organizzato. Il territorio essendo zona di confine con il Regno di Napoli vedeva la presenza di molti napoletani, per esempio come i braccianti che lavorano nelle campagne del Circeo. Costoro rifiutavano il pagamento con le “cedole” della Repubblica Romana, causando un peggioramento della situazione economica ed alimentare della zona. Tra i vari cittadini napoletani presenti nel dipartimento c’erano anche alcuni ufficiali che andarono ad aiutare gli insorti, dando un sostanzioso contributo in termini organizzativi. Per alcuni storici fu proprio l’Armata Cattolica a fornire l’esempio per le truppe a “massa” dei sanfedisti, guidate a volte da briganti/patrioti, che furono organizzate poco dopo per affiancare le truppe napoletane nell’opera di riconquista del regno.

In un primo momento i francesi sottovalutarono gli avvenimenti del Circeo, pensando che gli insorti si sarebbero dispersi o comunque non sarebbero riusciti ad organizzarsi unendo i vari gruppi e quindi furono inviati di primo acchito solo 200 soldati polacchi. A fine luglio, fu invece inviato un contingente consistente di 1200 uomini agli ordini del generale Antoine Girardon (1758-1806). Da parte francese si volle vedere nell’insorgenza l’ingerenza dei preti o del Re di Napoli, che sicuramente aveva mostrato interesse per la faccenda, ma senza fare seguire alle parole, i fatti. La stessa presenza di ufficiali napoletani faceva pensare ciò, mentre la loro presenza era contingente in una terra di confine in cui erano frequenti i rapporti di parentela fra cittadini pontifici e borbonici con il caso emblematico di Terracina, già appartenuta al Regno di Napoli, la cui popolazione era in gran parte originaria napoletana o sposata con napoletani.

I francesi sconfissero gli insorgenti a Ferentino il 29 luglio e poi a Frosinone il 2 agosto. Ad ogni vittoria francese seguiva il saccheggio. Dopo le sconfitte, gli insorgenti si rifugiarono a Terracina, dove il 6 agosto cacciarono via le truppe francesi e organizzarono la difesa raccogliendo cibo per resistere, allagando i terreni intorno alla città e facendo saltare il ponte principale. In questo caso la presenza di ufficiali fu evidente anche dall’innalzamento del vessillo borbonico. La città capitolò dopo sei ore di feroce combattimento il 9 agosto, a cui seguì il rituale saccheggio da parte delle truppe francesi.

Dopo la sconfitta degli insorti, si mantenne comunque lo stato d’assedio del dipartimento fino ad ottobre e si passò alla repressione, con processi farsa ed esecuzioni sommarie che avvenivano entro le 24 ore dalla sentenza. Per aumentarne l’effetto deterrente venivano eseguite nei paesi di origine degli arrestati. Bisogna precisare che i francesi avevano introdotto una novità nelle esecuzioni, ovvero la fucilazione negando perfino i conforti religiosi ai malcapitati. Fino a quel momento nel regno pontifico le condanne avvenivano per decapitazione, impiccagione e “mazzolatura” e ovviamente con i conforti religiosi assicurati dalla confraternita di San Giovanni Decollato.

Anche dopo le esecuzioni sommarie, il territorio non rimase completamente pacificato e dovette continuare a provvedere al sostentamento delle truppe che vi soggiornavano. Alla fine di novembre del 1798, il Re di Napoli invase la Repubblica Romana con un ampio successo riuscendo ad occupare la capitale. Ma l’occupazione è di brevissima durata e già a metà dicembre l’esercito napoletano è in ritirata e inseguito da quello francese che finisce per penetrare nel regno di Napoli. Qui viene istituita l’effimera Repubblica napoletana che dura pochi mesi, mentre il re di Napoli, Ferdinando IV, trova rifugio a Palermo. Il Circeo rimane saldamente in mano francese nonostante siano frequenti le violenze di insorti o disertori dell’esercito borbonico.

Quando a maggio del 1799 si paventa il ritiro delle truppe francesi dalla Repubblica Partenopea, ci fu una ripresa dell’attività degli insorgenti e i generali francesi decisero di presidiare solo strade e centri nevralgici per garantire la via di fuga non impegnandosi nell’attività di repressione.In seguito all’abbandono del napoletano da parte delle truppe francesi a giugno, il Circeo insorge nuovamente, anche se stavolta è qualcosa di più organizzato. I gruppi armati cercano di coordinarsi per poi confluire nelle truppe “a massa” ovvero con i soldati non professionisti che giungono dal Regno di Napoli guidati da personaggi come Fra’ Diavolo, Giovan Battista Rodio o con le bande come quelle di Gaetano Mammone, quest’ultimo talmente sanguinario da essere arrestato dallo stesso Rodio. I capi massa potevano essere di origine popolare come Mammone o Fra’ Diavolo e scelti per le capacità mostrate sul campo o provenire dagli strati alti della società come il Rodio di origini nobiliari. Pochi mesi dopo, a settembre, i francesi firmano un trattato con inglesi e napoletani abbandonando i territori pontefici. Con quello l’atto ebbe fine la Repubblica Romana.

Vito Foschi

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